SCIENZA E SENSO RELIGIOSO
ALBERTO STRUMIA
Nel tentare di affrontare un tema così ampio non è possibile, in una breve riflessione come quella che segue, non accontentarsi di limitare il proprio sguardo ad un aspetto del problema. Prenderò lo spunto, perciò, da un semplice rilievo che può sembrare, a prima vista, legato ad una questione terminologica, mentre cela, a mio parere, una questione di sostanza, sulla quale molta cultura contemporanea gioca la censura di quella dimensione costitutiva dell’uomo che è la dimensione religiosa, con la conseguenza di negare, almeno di fatto quando non diritto, l’esercizio delle fondamentali libertà connesse con la libertà religiosa, come, ad esempio, la stessa libertà di educazione.
Religiosità e razionalità
Fino a non molto tempo fa l’espressione senso religioso o sentimento religioso veniva comunemente interpretata come riferentesi all’esperienza della fede cattolica come tale. Il dire di una persona che ha un senso religioso, un punto di vista religioso nei confronti della vita e della realtà veniva inteso come il dire una persona di fede cattolica, una persona credente. E questo modo di interpretare le formule senso religioso, o sentimento religioso, o persona religiosa è certamente molto diffuso ancora oggi e non solo tra la gente comune. [1] Questo modo di usare la formula senso religioso è però evidentemente impreciso, perchè riduttivo della nozione di religiosità. Identificare la religiosità con la fede, cioè con l’adesione ad una conoscenza rivelata, equivale ad affermare implictamente una posizione fideista e cioè sostenere che non è possibile per principio alcuna indagine ed alcuna conoscenza intorno alla natura e al destino dell’uomo e delle cose, intorno a Dio, se non in quanto rivelata da Dio stesso. È una radicale dichiarazione di impotenza della ragione umana - che pure è un dono del creatore - nei confronti della domanda sul significato dell’esistenza e, contemoporaneamente, un’implicita dichiarazione di irrazionalità di tale domanda. Di conseguenza la fede stessa non potrà essere poi espressa come un giudizio, cioè come un assenso volontario dell’intelligenza umana che ragionevolmente ritiene di poter aderire al contenuto della rivelazione [2], ma solamente come sentimento, come un emotivo salto nel buio, senza un fondamento ragionevole. Questo modo di intendere la questione del senso religioso è frequente anche tra gli scienziati, non esclusi quelli cattolici, ma riflette una posizione che risente di un influsso protestante dal punto di vista teologico, e comunque positivista dal punto di vista filosofico. L’idea diffusa è quella che identifica la razionalità come tale con la ragione fisico-matematica, addestrata nella conoscenza degli aspetti quantititativi e relazionali dell’essere. Tutto ciò che non è riconducibile a quantità e relazione non sarebbe da questo punto di vista affrontabile in termini razionali, ma solo emozionali, reattivi.
È vero che oggi neppure gli scienziati sostengono più una posizione, di stampo positivista, che bolla di non significanza quegli aspetti dell’esperienza umana che non sono codificabili all’interno di un’indagine di tipo scientifico, rimane però il fatto che queste dimensioni dell’umana conoscenza continuano ad essere classificate come irrazionali. La differenza tra l’atteggiamento presente e quello passato sta, allora, nel fatto che oggi si tende a riconoscere una certa importanza anche a ciò che nell’uomo vi è di irrazionale, mentre in passato questa importanza veniva negata. Il passo ancora mancante per un inquadramento adeguato della nozione di senso religioso, come caratterizzante un’espressione della razionalità e non appena della emozionalità umana, è il ritrovamento di una razionalità e quindi di una scientificità che, nel suo complesso articolato in più scienze tra loro connesse, sia in grado di prendere in considerazione tutti gli aspetti della realtà senza escluderne, per principio, qualcuno, magari quello fondamentale. [3] Il “senso religioso, cioè la conoscenza religiosa di Dio da parte dei popoli, si riconduce alla conoscenza razionale di cui è capace l’uomo con le forze della sua natura” [4]
I preambula fidei
Il livello a cui si deve collocare la questione del senso religioso e il suo rapporto con la razionalità e la scienza non è perciò tanto e primariamente quello della fede. La questione del senso religioso non è legata di per sè all’adesione ad una confessione religiosa, ma si situa piuttosto a quel livello che precede, almeno da un punto di vista logico se non cronologico, l’atto di fede, che potrebbe anche non avvenire, pur in una persona che vive un’esperienza di seria ricerca di una risposta alle domande fondamentali dell’esistenza. È quel livello che la dottrina e la teologia tradizionali chiamano i preambula fidei.
Se pertanto molti non accettano la verità di fede, si può e si deve introdurli, mediante un dialogo paziente e caritatevole, alla comprensione dei valori spirituali e religiosi partendo dalle evidenze della ragione, delle quali tutti noi, credenti e non credenti, in quanto persone, siamo capaci [5]
La via dell’esperienza
Queste semplici considerazioni ripropongono, in un certo senso, la questione apologetica. L’apologetica tradizionale dava, in fondo, per scontato l’aspetto del senso religioso, in quanto posseduto a livello naturale da tutti gli uomini, e apriva senz’altro l’indagine sulla credibilità di Cristo e della Chiesa. Se si fornivano dei motivi adeguati per fondare la certezza morale intorno alla divinità di Gesù e all’origine divina della Chiesa questo portava di conseguenza a ritenere ragionevole e possibile, con l’aiuto della grazia, l’atto di fede. Oggi non si può più dare per scontato questo livello, che pure è naturale, del senso religioso, ma occorre guidare l’uomo alla riscoperta della sua stessa natura e riaprirgli la mente e il cuore a prendere in considerazione l’idea stessa di una rivelazione come interessante per il proprio destino umano e la possibilità di accostarsi alla fede con tutta la ragionevolezza del suo essere. In due splendide catechesi dell’anno santo straordinario della redenzione Giovanni PaoloII indica una via per accostare il problema della presa di coscienza da parte dell’uomo della sua domanda religiosa.
La via per giungere a tale presa di coscienza è, per l’uomo di oggi, come per quello di tutti i tempi, la riflessione sulla propria esperienza [6]
Mi sembra che il suggerimento di questa via apra un interessante confronto con la strada percorsa dalla scienza moderna. Oggi la ricerca dei fondamenti razionali che rendono possibile l’adesione alla fede deve potersi misurare con il metodo scientifico e contemporaneamente la scienza sembra ormai richiedere una collocazione antropologica in una visione globale della realtà che non si esaurisce in una rappresentazione matematizzata dell’universo.
Mi sembra che vi siano due aspetti da prendere in considerazione a questo proposito.
- Il primo è evidenziato da quella che chiamerei la parola chiave che può mettere in contatto diretto il linguaggio della scienza con il linguaggio religioso, e la parola chiave proposta qui è la parola esperienza. Di esperienza, infatti, si parla sia nel linguaggio scientifico che in quello religioso: si tratterà di precisarne la nozione, nell’uno come nell’altro caso, e di vedere in quale modo l’esperienza diviene fonte di conoscenza nell’ambito della scienza come nell’ambito dell’esperienza religiosa.
- Il secondo aspetto del problema è da identificarsi nel metodo: così come la scienza, intesa nell’accezione moderna del termine, procede secondo un metodo di analisi e di progettazione dell’esperienza, anche l’indagine sull’uomo, e in particolare quell’indagine sul destino che muove dal senso religioso, deve poter procedere secondo un metodo rigoroso. Se alla scienza si deve chiedere una dilatazione del suo modo di intendere la razionalità, alla ricerca religiosa occorre domandare di non lasciarsi confinare nell’irrazionale, ma di darsi un metodo che non esiterei a definire in certo senso scientifico, cioè rigoroso e dimostrativo.
La nozione di esperienza
Ma come definirla questa esperienza umana profonda che indica all’uomo la strada dell’autentica comprensione di sè? Essa è il paragone continuo tra l’io e il suo destino [7]
Prescindendo qui dalla nozione di esperienza in quanto legata ad un habitus, ad un esercizio acquisito con la ripetizione di atti di conoscenza il cui dato si è fissato nella memoria, vorrei rivolgere l’attenzione al singolo atto esperienziale. Sembra, da questo punto di vista che si possa parlare di tre gradi dell’esperienza.
- Il primo potremmo caratterizzarlo come esperienza sensibile, “che significa semplicemente la percezione sensibile immediata e non ancora critica che noi abbiamo a ogni istante. Noi vediamo il sole levarsi, calare; noi vediamo passare un treno, vediamo dei colori, ecc.” [8]
Questo livello dell’esperienza è basilare, precede e rende possibile ogni ulteriore livello di conoscenza (secondo il classico principio aristotelico-tomista: “nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”). Questo è quel livello della conoscenza che nell’uomo, anche quando coinvolge direttamente la razionalità, non impegna nè l’azione dell’intelletto sui concetti precedentemente astratti, nè la riflessione dell’intelletto sul suo atto di conoscenza.
- Il secondo livello, proprio delle scienze, è quello dell’esperienza come esperimento. “I sensi non sperimentano nulla se non ci si pone un interrogativo, se non esiste un presupposto intellettuale, che può esso solo rendere possibile l’esperienza” [9] Questo livello pone in atto un processo conoscitivo piuttosto complesso in quanto esige, oltre alla percezione sensoriale legata all’osservazione, anche l’azione su concetti precedentemente astratti dall’esperienza, come le nozioni matematiche.
- Il terzo livello è quello che impegna l’intelletto nella riflessione sui suoi atti. L’io giunge all’esperienza di sè attraverso la conoscenza riflessa degli atti che sono propri delle sue facoltà spirituali, quali l’intelletto e la volontà. Quando si parla di “esperienza esistenziale” [10] e di senso religioso ci si viene a collocare in questo grado dell’esperienza.
Il metodo
Il metodo delle scienze moderne di tipo fisico-matematico, detto comunemente anche metodo galileiano o metodo sperimentale, come è ben noto non consiste principalmente nell’osservazione, sotto forma di misurazione, delle quantità e delle relazioni che si presentano in natura, ma consiste principalmente nel paragone tra questi dati dell’esperienza e una rappresentazione matematica della realtà. La conoscenza empirica, per divenire scienza, viene messa in realzione con una teoria matematica, presa come ipotesi esplicativa dell’esperienza. In altri termini per costruire una scienza di tipo galileiano occorrono due elementi: l’osservazione e il riferimento ad un livello di conoscenza previo che in questo caso è fornito dalle matematiche. Va detto anche che i due elementi si intrecciano continuamente nel senso che, se da un lato la formulazione matematica della teoria è successiva all’osservazione, è anche vero, in linea complementare, che la teoria è anche alla base dell’esperimento che viene costruito in relazione ad un’aspettativa o previsione della teoria stessa [11]
Per quanto riguarda l’esperienza che l’uomo ha di sè, ambito all’interno del quale viene a collocarsi l’esperienza del senso religioso, occorrerà, come per l’osservazione della natura, un metodo di paragone dell’osservazione con una teoria di riferimento, o ipotesi esplicativa, cioè con una conoscenza capace di rendere conto dell’esperienza. Questa conoscenza di riferimento potrà essere di natura filosofica, e allora ci troveremo di fronte ad un’antropologia filosofica, oppure, quando coinvolge i dati della rivelazione essa sarà un’antropologia teologica. Dal punto di vista di una corretta metodologia scientifica, da ritenersi valida sia nel caso delle scienze naturali come in quello di una scienza dell’esperienza dell’uomo, sarà da accettare come scientifica quella spiegazione della realtà che concorda con i dati dell’esperienza e tiene conto di tutti i fattori in gioco nell’esperienza che si sta analizzando. Il metodo di indagine dell’esperienza, qui sommariamente tracciato mi sembra reperibile nel magistero del papa nel quale viene proposto il punto di vista della fede cattolica come fondante l’antropologia teologica più adeguata per la comprensione dell’esperienza umana secondo la totalità dei fattori che la costituiscono. L’applicazione di questo metodo di indagine dell’esperienza dell’uomo a quell’ambito di esperienze che sono più direttamente collegate con le domande sul siginificato dell’esistenza e sul destino dell’uomo consente di aprire un’indagine rigorosa sul senso religioso.
Implicazioni pastorali
Il reperimento di una via al senso religioso, praticabile nell’epoca della scienza e con un metodo affine a quello della scienza, appare davvero fondamentale, non solamente dal punto di vista di un interesse intellettuale, ma anche per le conseguenze pastorali che comporta. Infatti la maggiore difficoltà che si incontra oggi nel proporre l’annuncio cristiano e la conseguente catechesi sta proprio nella non corrispondenza apparente tra il contenuto della proposta e gli interessi che orientano l’interlocutore. Il destinatario dell’annuncio va ricondotto al senso religioso, ormai censurato o comunque distorto dal clima culturale contemporaneo. Questo problema della censura o distorsione del senso religioso non riguarda, poi, appena l’interlocutore non credente, ma anche coloro che hanno accettato di aderire alla fede cristiana e tuttavia, a causa di una ineducazione e del condizionamento dell’ideologia, sono divenuti incapaci di un serio affronto del proprio problema umano. In tal caso il metodo della riflessione sulla propria esperienza umana, in un paragone con un’ipotesi esplicativa adeguata, può costituire il passo decisivo per raggiungere una conoscenza seria della propria natura di uomini e un’indispensabile preparazione per comprendere la reale portata del messaggio salvifico di Cristo, che si rende presente e si comunica mediante la Chiesa. [12]
[1] Vorrei a questo proposito citare una riflessione che Giovanni PaoloII ha rivolto ai partecipanti ad un congresso di insegnanti cattolici: “Quel 'valore della cultura religiosa' che il 'nuovo' Concordato adduce come prima motivazione per la presenza di un insegnamento di religione adatto e congeniale alla natura e alle finalità della scuola, non si identifica semplicemente con la somma degli influssi culturali che una religione (nel nostro caso, il Cattolicesimo) è stata ed è in grado di esercitare sui vari aspetti della vita e della cultura; ma, ben più profondamente, sta ad indicare la realtà di quella dimensione profonda dello spirito umano da cui ha origine e si genera la cultura aperta alla trascendenza, come cultura autentica dell'uomo, e in cui si collocano e trovano risposta gli interrogativi esistenziali sul senso fondamentale e ultimo della vita.Scoprire questo legame indissolubile tra la religione e quella dimensione fondamentale e costitutitva dell'uomo, che è data dal sorgere delle domande esistenziali, non è cosa da poco, e non è l'ultima scoperta che i giovani d'oggi sono chiamati a fare”, Discorso ai partecipanti al Congresso dell'UCIIM, 13 marzo 1986, n.4. E ancora: il senso religioso “si distinge soprattutto dalla fede cristiana, sia come conosenza fondata sulla rivelazione, sia come risposta consapevole al dono di Dio presente e operante in Gesù Cristo”, Udienza generale del 5 giugno 1985, n.2.
[2] S.Tommaso, De Veritate, q.14, a.1.
[3] Rimando chi è interessato alla breve indagine che ho cercato di svolgere su razionalità e scienza moderna, così come viene sviluppata nel magistero di Giovanni PaoloII: L’uomo e la scienza nel magistero di Giovanni PaoloII, Ed. Piemme, Casale Monferrato, 1987.
[4] Udienza generale del 5 giugno 1985, n.2.
[5] Discorso all’Istituto Magistero Maria Assunta, 9 marzo 1985, n.3.
[6] Udienza generale del 12 ottobre 1983, n.1. Si veda, in proposito, anche l’udienza seguente del 19 ottobre dello stesso anno.
[7] Ibidem, n.2.
[8] J. Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale. Saggi sulla fede e sul ministero, Ed. Morcelliana, Brescia 1986, p.85.
[9] Ibidem, p.87.
[10] Ibidem, p.88.
[11] Non ci preoccupiamo qui di come si viene a formare la conoscenza matematica e di quale rapporto abbia con l’esperienza. L’unica cosa che interessa allo scienziato in quanto fisico è la possibilità di utilizzare la conoscenza matematica come di un mezzo di rappresentazione del quale è in possesso previamente rispetto alla sua indagine sperimentale.
[12] È questo l’itinerario di catechesi che viene proposto nel volume di L.Giussani, Il senso religioso, Ed. Jaca Book, Milano 1986.