RIFLESSIONI SU «SENSO DEL DIVINO e SCIENZA MODERNA» DI T.F. TORRANCE
Alberto Strumia
Platonismo e aristotelismo nelle scienze - Platonismo e aristotelismo nella filosofia delle scienze - Il contributo di Torrance - Conclusione
PLATONISMO E ARISTOTELISMO NELLE SCIENZE
Per quanto il progresso delle scienze si possa considerare, oggi, assai indipendente dalla filosofia, bisogna pur riconoscere che nel corso della storia l’interazione tra la storia del pensiero filosofico e la storia del pensiero scientifico — per utilizzare un modo di esprimersi caro ad Alexandre Koyré [1] — è stata ed è tuttora un dato di fatto.
Nei tempi antichi — e genericamente intendo, con questa espressione, l’ampio e non del tutto omogeneo periodo pre-galileiano — le scienze sono nate come una vera e propria filosofia, cioè come una concezione descrittiva ed esplicativa della realtà; e contemporaneamente le filosofie sono sorte in vista di una spiegazione scientifica del mondo, di quello esteriore come di quello interiore all’uomo.
Nel mondo greco si vennero stabilendo, man mano, due solide linee di pensiero, tanto solide che da queste tutta la storia della filosofia successiva è venuta di fatto a dipendere; e da esse ancora in buona parte dipende, se si eccettuano quei periodi di pensiero soggettivistico, e spesso anche sofistico, nei quali al problema della verità si risponde con un atteggiamento fondamentalmente agnostico, scettico, o irrazionalistico. E il periodo in cui viviamo risente pesantemente di questa tentazione, quando non l’ha fatta propria come una «conquista irreversibile».
Prima linea di pensiero: il platonismo
Il platonismo possiede certamente il fascino di proporre una dottrina degli ideali perfetti con i quali tutta la realtà, in qualche modo, è chiamata a paragonarsi, e dai quali viene misurata, e secondo i quali può essere descritta nelle sue proprietà e leggi universali. Queste idee perfette, però sono fondamentalmente estranee alla realtà materiale, non si uniscono mai volentieri ad essa, per non perdere la propria purezza e la propria perfezione.
Per la teologia il platonismo è stato per lungo tempo forse l’unico punto di riferimento effettivamente accettato, avendo trovato la sua più profonda e completa sintesi nel pensiero di Agostino: esso salva certamente la trascendenza divina, ma si concilia a fatica con la prospettiva cristiana dell’incarnazione (per la sua opposizione tra materia e spirito), con il concetto di persona come un unum (per la contrapposizione dualistica di corpo e anima), con la prospettiva della bontà di tutto l’essere creato, compresa la materia (a causa della negatività di quest’ultima). Perciò ha richiesto l’apporto di notevoli correzioni.
Per quanto riguarda, poi, le scienze il modello di questa razionalità ideale che l’uomo può raggiungere più facilmente, forse per un’illuminazione divina trascendente, o almeno per un’intuizione interiore dello spirito, è certamente offerto dalle matematiche. Gli enti matematici sono immuni dal compromesso con la materia, sono universali e astratti e sembrano sussistere in un mondo separato e autonomo, anche al di fuori del pensiero di chi ha dato loro la luce in questo mondo terrestre. È davvero strabiliante pensare, in una prospettiva ultimamente platonica come sia possibile una sorta di corrispondenza, di armonia prestabilita che compone rigorosamente il dualismo tra la realtà di questi enti matematici ideali e la realtà fisica della natura, dei fenomeni della materia, al contrario, così concreta e contingente. Il modello della scienza galileiana, [2] materialmente fisica e formalmente matematica, rappresenta un’incredibile accordo di due mondi nati dualisticamente, al punto che sembra quasi richiedere Dio — nel senso vero e proprio di un deus ex machina — per accordarli e sincronizzarli tanto puntualmente. [3]
Seconda linea di pensiero: l’aristotelismo
L’aristotelismo possiede, piuttosto, il fascino dell’unità sostanziale: lo schema ilemorfico e il modello potenza-atto, hanno in se stessi una genialità davvero razionale, scientifica. La sua genialità, oggi quasi sempre incompresa in tutta l’effettiva portata, sta nel fatto di riuscire a concepire dei livelli diversificati dell’essere, per cui materia e forma non sono delle cose, come dei mattoni che si uniscono per formare, a loro volta, una cosa che ne è come la somma, rimanendo della stessa natura dei suoi componenti, mentre sono piuttosto due principi che esistono come tali e insieme dànno vita a qualcosa che ha un modo di essere diverso dal loro, attuando una nuova natura. Non più uno schema dualistico, dunque, ma un’unità sostanziale; non uno schema univoco — la realtà è nella sua essenza idea, o numero, o figura geometrica e al di fuori di questi vi è la pura negatività — ma un modelloanalogico: la realtà possiede l’essere in molti modi differenziati, ma non totalmente estranei e incommensurabili tra loro; per cui l’osservazione di un modo dell’essere può essere indizio, strada per comprendere con verità anche aspetti propri degli altri modi dell’essere, e viceversa, e non è impensabile che un livello di rappresentazione della realtà, come quello matematico possa essere un utile schema descrittivo di alcuni aspetti del livello della realtà fisica.
Dal punto di vista della teologia la prospettiva aristotelica dovette apparire inizialmente troppo immanentista, e in un certo senso materialista. Poteva sembrare non salvare abbastanza la trascendenza, ma salvava la positività del creato, l’unità della persona, un certo grado di conoscenza analogica di Dio e delle realtà superiori; era rispettosa della partecipazione dell’essere, che il platonismo cristiano cercò di integrare in sè stesso attraverso un certo rifarsi a Plotino.
Per quanto riguarda le scienze lo schema aristotelico si dimostrò molto potente dal punto di vista dell’osservazione e dell’analisi qualitativa; consentì di sviluppare una buona scienza naturale, il cui modello fu soprattutto la biologia, e delle buone scienze descrittive; accoglieva in sè la matematica e le scientiae mediae, come l’ottica geometrica e l’astronomia, senza enfatizzarne però il ruolo e il valore conoscitivo, riconoscendo che potevano avere, in certi casi, in se stesse valore di verità (teorie fisiche), come in altri casi essere un puro e semplice strumento di calcolo per fare previsioni salvando i fenomeni (teorie matematiche). E riconosceva dignità scientifica a molteplici forme di conoscenza, sia descrittiva, che sistematica ed esplicativa.
Quando nel tredicesimo secolo si affacciarono alla ribalta delle scuole di Oxford e di Parigi, il platonismo e l’aristotelismo si fronteggiavano come due metodi per fondare l’intero campo della razionalità, dalle scienze della natura alle scienze dell’uomo, alla scienza dell’essere come tale e alla scienza teologica.
Da una parte Ruggero Bacone, Roberto Grossatesta e i loro seguaci, a Oxford, furono decisi nell’affermare la superiorità delle matematiche sulle altre scienze, per il loro grado di certezza e l’univocità del loro linguaggio: si deve forse ammettere che a Oxford l’analogia non fu veramente compresa, e il nominalismo si stava ormai aprendo la strada. Per Scoto il termine analogo significava in realtà equivoco, e quindi inconoscibile, [4] perciò era inpensabile che l’analogia potesse offrire una strada effettiva alla conoscenza, e tantomeno alla dimostrazione rigorosa, alla prova scientifica. Secondo Ruggero Bacone la matematica avrebbe dovuto guidare anche la ricerca teologica, se la teologia voleva essere una scienza dimostrativa.
Dall’altra parte Alberto Magno e il suo discepolo Tommaso d’Aquino, a Parigi, avevano messo a punto dei sistemi di scienze naturali, antropologiche, metafisiche e teologiche, basati su Aristotele, e tali da non poter prescindere — soprattutto nell’ambito metafisico e teologico — dello strumento dell’analogia, ed erano riusciti a non intrappolare la nozione di scientificità nel quadro, pur degno di nota, ma ultimamente troppo limitativo delle matematiche e delle loro applicazioni.
Se il tomismo — e quindi una certa forma pur rivisitata di aristotelismo — ebbe la prevalenza per quanto riguardava la filosofia e la teologia, anche grazie alla Chiesa che in buona parte lo assunse come metodo ufficiale della ricerca teologica, d’altro canto il platonismo, ripensato nell’ottica della scuola inglese, soprattutto nella prospettiva dell’univocità dell’ente conoscibile e della matematizzazione, si fece gradualmente sempre più strada per quanto riguardava le scienze della natura.
La successiva esplosione del metodo galileiano, con i successi che ottenne, soprattutto con Keplero e Newton, è da considerarsi, secondo Koyré una vera e propria vittoria del platonismo sull’aristotelismo, [5] che ha orientato tutta la scienza verso il metodo matematico, aprendo l’orizzonte alla prospettiva del riduzionismo, cioè all’obiettivo della graduale riconduzione di tutte le scienze alla fisica e alla matematica.
PLATONISMO E ARISTOTELISMO NELLA FILOSOFIA DELLE SCIENZE
Il pensiero filosofico ha subìto forti conseguenze a partire dalla rivoluzione copernicana e galileiana, cercando di modellarsi sul metodo delle nuove scienze, a partire da Cartesio, passando per il razionalismo di Spinoza e Leibniz, l’empirismo inglese di Locke, Berkeley e Hume, per giungere con Kant alla dichiarazione esplicita dell’impossibilità di una metafisica come scienza.
A questo punto la filosofia deve ritirarsi dalla strada della razionalità scientifica, per abbracciare la via della volontà, in luogo di quella dell’intelletto, oppure divenire epistemologia, farsi ancilla scientiarum. L’epistemologia è vista tendenzialmente come descrizione fenomenologica del pensiero scientifico (epistemologia come storia del pensiero scientifico) e del metodo (epistemologia come metodologia) che le scienze hanno seguito nel loro attuarsi. È inevitabile che un’epistemologia descrittiva del metodo scientifico tenda a proporsi anche come normativa indicando alle scienze la strada che devono seguire per essere veramente scientifiche, e del valore conoscitivo delle loro teorie.
Questo modo di procedere porta con sè certamente degli aspetti problematici, per non dire negativi che non è necessario esaminare qui, tuttavia, in un tempo di crisi d’identità della filosofia, esso può anche portare dei contributi positivi attraverso il formularsi delle domande filosofiche che nascono dall’interpretazione delle teorie scientifiche.
Così come la teologia, quando non era in grado di trovare nelle filosofie esistenti una base filosofica sufficiente per affrontare determinate problematiche, ha prodotto da se stessa, in actu exercito, gli strumenti metafisici e gnoseologici che le servivano, e così come le scienze fisiche hanno sviluppato gli strumenti matematici che occorrevano per inquadrare i problemi fisici, la migliore filosofia delle scienze sembra, in alcuni casi, non essere lontana dal raggiungere la capacità di aprirsi verso alcune domande filosofiche riguardanti i fondamenti logici, gnoseologici e ontologici e di elaborare gli strumenti per rispondervi. Questo interrogarsi non disdegna ormai più — al contrario di quanto accadeva in un clima positivista e neopositivista — anche il confronto con il pensiero classico.
Nell’ottica dell’alternanza tra platonismo e aristotelismo, alla base del pensiero scientifico, è particolarmente interessante il riemergere, in questi ultimissimi anni, di un interesse verso modelli interpretativi di sapore aristotelico, e l’impiego di una terminologia che richiama Aristotele piuttosto che Platone.
Alcuni problemi emergenti nell’ambito della fisica, della chimica, della biologia e della stessa matematica, della logica e dell’informatica come, per esempio, quelli che vengono in qualche modo riuniti sotto il titolo diproblema della complessità, nei suoi molteplici aspetti, richiedono un approccio olistico anzichè riduzionistico e la messa a tema di livelli diversi di organizzazione delle strutture reali, così come del pensiero. L’unità complessiva della molecola in chimica, il cui comportamento non si spiega esaurientemente descrivendola come semplice aggregato di atomi, e ancor più l’unità dell’organismo vivente in biologia, richiedono un principio esplicativo nuovo, che richiama in qualche modo il concetto aristotelico di forma. In questo senso il modello aristotelico materia-forma (in vista di una concezione unitaria dell’oggetto considerato), così come l’analogia (in vista di una descrizione dei diversi livelli di organizzazione della materia o dell’informazione), sembrano avvicinarsi, in certa maniera alla riflessione sulle scienze, e sono comunque tornati ad essere oggetto di interesse da parte dei più attenti scienziati ed epistemologi.
Tutto questo rende conto del nuovo interesse di alcuni studiosi nei diversi campi della matematica, della teoria dell’informazione, della fisica, della chimica, della biologia, della sociologia, ecc., per l’approccio aristotelico, e l’impiego di una terminologia di derivazione aristotelica. [6] Si deve dire, però che molto spesso, la tradizione culturale dalla quale i pensatori contemporanei provengono è talmente distante da quella aristotelico-tomista che le categorie di pensiero e il linguaggio non si incontrano se non con molta difficoltà e molti possibili equivoci con la tradizione antica e medievale: le somiglianze terminologiche non indicano sempre un’identica concezione, pur suggerendo almeno qualche affinità. D’altra parte, in linea complementare, è anche vero che gli odierni studiosi di Aristotele, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, filosofi e teologi di professione, non possono tralasciare di compiere un sforzo di attenzione verso questi tentativi di confronto che nascono nel mondo scientifico ed epistemologico.
IL CONTRIBUTO DI TORRANCE
Mi sembra possano essere accolte, in tal senso, le riflessioni proposte nello studio su «Senso del divino e scienza moderna», di Thomas F. Torrance, come, del resto precisa la puntuale introduzione di Giuseppe del Re, che ha curato l’edizione italiana per la Libreria Editrice Vaticana:
Il loro interesse eccezionale deriva proprio dal fatto che tale discussione (…) non è stata ispirata da una posizione filosofica tomista, ma costituisce un recupero spontaneo della dimensione realista della conoscenza, raggiunto attraverso l’analisi del discorso scientifico in quanto tale e delle istanze metafisiche, esistenziali e teologiche che ad esso si ricollegano. [7]
Percorrendo un’ampia panoramica storico-epistemologica, Torrance documenta il trasformarsi di quella filosofia, che di fatto è implicita nelle teorie scientifiche, e del rapporto tra scienze e filosofia, segnalando in particolare, oltre agli altri, due mutamenti fondamentali, che segnano due tappe della storia della scienza e che denotano un certo grado di spostamento dal platonismo verso l’aristotelismo:
a) il passaggio dalla concezione newtoniana a quella einsteiniana dell’universo, attraverso la teoria del campo di Maxwell;
b) il passaggio dall’epistemologia riduzionistica alla prospettiva olistica, attraverso l’insorgere del problema della complessità, emerso in fisica con il problema dell’interpretazione della meccanica quantistica e con la nascita della meccanica non lineare che comporta il concetto di caos deterministico, in chimica e biologia con l’emergere dell’irriducibilità della chimica e della biologia alla fisica, in matematica con i teoremi di incompletezza dei sistemi formali della logica-matematica.
A questi due passaggi nella storia delle scienze corrispondono tre aspetti di rilievo dal punto di vista filosofico.
a) Il livello della filosofia interpretativa delle teorie scientifiche
Il primo elemento di spostamento verso l’aristotelismo è, in un certo senso il meno rilevante dal punto di vista metodologico, anche se interessante. Esso consiste nella constatazione che, di fatto le teorie scientifiche più recenti, a differenza di quelle antecedenti, si comprendono più adeguatamente inquadrandole in una concezione del cosmo più prossima a quella aristotelica che a quella platonica, pur mantenendo uno schema rigorosamente matematizzato.
È indubbio, ad esempio, che la concezione dello spazio-tempo curvo di Einstein, spazio le cui proprietà sono determinate dai corpi e dai loro mutui rapporti, cioè dalla distribuzione delle masse, e nel quale il moto avviene per inerzia ed è quindi in certo senso un moto naturale, in quanto non avviene sotto l’azione violenta di forze, è più aristotelica della concezione di uno spazio come vuoto contenitore dei corpi, in cui non c’è nè luogo, nè sito, come erano lo spazio e il tempo assoluti di Newton.
Si tratta di un contatto tra teorie scientifiche e filosofia aristotelica in certo modo accidentale, in quanto rilevato come stato di fatto, che potrebbe venir meno con il sopraggiungere di nuove teorie che soppiantassero quelle attualmente vigenti; tuttavia è un contatto significativo, perché evidenzia una linea di tendenza che si è sviluppata nel corso della storia delle scienze.
b) Il livello della teoria della conoscenza
Torrance, rifacendosi alla filosofia della scienza di Michael Polany, ripropone il realismo della conoscenza come base indispensabile per lo sviluppo delle scienze. La ripresa del concetto di verità come adequatio ad rem non implica automaticamente il valore realistico di ogni teoria scientifica (realismo delle teorie), ma assicura un approccio non soggettivistico alla conoscenza come tale (realismo della conoscenza).
c) Il livello della complessità
Il terzo elemento di spostamento verso l’aristotelismo, a differenza dei primi due, ha invece carattere essenziale, nel senso che è interno alla scienza e non si colloca esternamente, al livello della filosofia interpretativa, o al livello della teoria della conoscenza, che di per sè sono oggi considerate come aspetti extrascientifci, e quindi estrinseci. Mi sembra per questo l’aspetto decisamente più interessante dal punto di vista metodologico, perché è esigito dagli strumenti stessi sui che la scienza impiega nelle sue costruzioni teoriche: la logica e il suo rapporto con le matematiche.
— I teoremi di Gödel: da un lato vi è la logica-matematica, con i teoremi di Gödel, a dimostrare, al suo interno, l’impossibilità di un’autofondazione del sistema assiomatico.
— I livelli della realtà e della descrizione: dall’altro lato abbiamo l’emergere della complessità e la necessità di ammettere livelli diversificati della realtà e della descrizione della realtà. La struttura complessa (a più livelli) dell’oggetto della scienza impedisce il riduzionismo, aprendo la strada ad una prospettiva olistica, in cui l’oggetto è costituito tale nel suo insieme non in quanto giustapposizione di parti attualmente distinte, ma da un principio unificante, principio che nella filosofia aristotelica è costituito dalla forma.
= La diversificazione dei livelli comincia ad emergere nella logica-matematica con la nascita della teoria dei tipi, che distingue diversi ordini di nozioni-insiemi e di proposizioni e insinua la prospettiva della possibilità di una dimostrazione condotta basanfdosi sulla corrispondenza (analogia?) tra relazioni simili esistenti tra coppie di oggetti collocate a livelli differenti; [8]
= Livelli diversi di realtà si rilevano trattando dell’organizzazione della materia dal punto di vista chimico e biologico, per cui la stessa realtà può considerarsi sotto aspetti che si riferiscono a livelli distinti di organizzazione: considerando la realtà a livelli di organizzazione via via superiori, emergono dei criteri di ordinamento, delle informazioni, che non si colgono direttamente ai livelli inferiori.
= La stessa possibilità di un’adeguata interpretazione della meccanica quantistica sembra orientarsi verso la prospettiva di una diversificazione dei livelli di complessificazione, che eviterebbe i tradizionali paradossi nella interpretazione realistica della teoria.
CONCLUSIONE
Come il titolo di questo studio di Torrance, «Senso del divino e scienza moderna», lascia intendere, questa apertura verso l’aristotelismo, pur essendo ancora embrionale e non sufficientemente formulata nella sua sistematica e nel suo linguaggio, merita di essere guardata con grande attenzione e di ricevere un contributo costruttivo da parte di quanti sono più familiari con la filosofia aristotelico-tomista, in quanto nasce come un’esigenza interna alla stessa metodologia delle scienze e sembra dischiudere la porta anche ad una riconsiderazione della possibilità di una teologia scientifica. Là dove si riconoscono livelli differenziati dell’essere si prepara la strada verso il recupero dell’analogia che è essenziale ad una teologia sistematica e dimostrativa.
[1] Come dimostrano anche i titoli di alcune tra le sue principali raccolte di studi: Études d’histoire de la pensée philosophique, Gallimard, Parigi 1971 e Études d’histoire de la pensée scientifique, Gallimard, Parigi 1973.
[2] Ho analizzato con maggiore ampiezza il concetto di scienza galileiana nel mio studio: Introduzione alla filosofia delle scienze, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992.
[3] Questa armonia prestabilita nel senso leibniziano, meravigliava profondamente Einstein che non riusciva a trovarne una spiegazione adeguata: «La cosa più incomprensibile del mondo è che esso sia comprensibile», citazione tratta da Fisica e realtà, riportata in Albert Einstein scienziato e filosofo, a cura di P.A. Schilpp, ed. Einaudi, Torino 1958, p.233.
[4] Cfr. G. Duns Scoto, Ordinatio I, d.3.
[5] Cfr. A. Koyré, Introduzione a Platone, Vallecchi, Firenze 1973, p.167.
[6] Cfr. in questo senso G. Basti, Il rapporto mente-corpo nella filosofia e nella scienza, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1991, p.10.
[7] T.F. Torrance, Senso del divino e scienza moderna, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, introduzione di G. del Re, pp.28-29.
[8] Cfr. la mia Introduzione…, op. cit., p.235 e sgg.