Riscopriamo il Samizdat
di Alberto Strumia*
Da qualche tempo è comparsa a livello mondiale la nuova dizione “fake news”, per etichettare le “notizie false” (in un gergo italiano meno elegante dette “bufale”), o almeno quelle che si vogliono e “devono” etichettare come tali. Il fenomeno delle fake news ha acquistato ai nostri giorni una “rilevanza globale”, a differenza di quanto poteva succedere in passato, grazie alle nostre attuali tecnologie – soprattutto ai social network – che consentono il propagarsi con una rapidità pressoché istantanea di qualsiasi “informazione”, indipendentemente dalla veridicità del suo contenuto, grazie al fatto che non rimane praticamente neppure il tempo materiale per controllarla.
Il fenomeno ha acquisito una rilevanza tale che anche il messaggio del pontefice per la cinquantaduesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali[1] ha avuto per oggetto questo tema. Non solo ma anche parlamenti, governi e organismi internazionali se ne sono preoccupati, con la conseguenza che non è ben chiaro, in un contesto culturale di “relativismo democratico” chi possa oggi ritenersi autorizzato a valutare la verità o falsità delle notizie in se stesse o l’opportunità o non opportunità di metterle in circolazione pubblicamente, senza compiere un’operazione di potere che occulta ciò che non è gradito ed enfatizza, o addirittura inventa, ciò che è funzionale a chi tale potere detiene.
Fake news smascherate e fake background non smascherato
Ma non è certo in questo complicato ginepraio di problemi – che grazie al Cielo non tocca a me risolvere – che sono andate le mie riflessioni da un po’ di tempo a questa parte.
Mi sono domandato, piuttosto, se non esista un “sottofondo comune” a tutte le notizie che circolano liberamente in tutti i modi e con tutti i mezzi – cartacei e telematici – che è viziato all’origine. Ciò che è più preoccupante, oltre alle fake news e, ancora più di queste, è questo “sottofondo viziato” che, stando al gergo degli slogan anglofoni non avrei difficoltà a denominare come fake background.
Si tratta di quel fenomeno, progressivamente crescente per estensione e intensità, che fa sì che in tutti i mezzi di comunicazione che hanno accesso ad un certo spazio e visibilità pubblica si ripetano e si impieghino – come fossero “parole d’ordine” – modi di esprimersi e giudizi culturali e politici il cui utilizzo è divenuto, di fatto, obbligatorio per poter accedere a quegli spazi. Un fenomeno che si riscontra con un’insistenza e uniformità sempre crescente alla quale ci si deve abituare. Se dici qualcosa, non dico di contrario, ma anche solo di diverso, ti tappano la bocca nei talk show radiofonici o televisivi (una pausa pubblicitaria è sempre disponibile al conduttore per interrompere il partecipante indisciplinato), ti denigrano nei social aperti, puoi essere fatto oggetto di una denuncia e perfino rischiare per la tua incolumità fisica sul posto di lavoro, nelle scuole nelle università, in ogni spazio pubblico.
Questo è ciò che intendo per fake background.
Un tempo il fenomeno appariva abbastanza innocuo e si presentava come un’innocente “moda”: erano di moda alcuni slogan, un certo modo di esprimersi legato soprattutto alle giovani generazioni, ma che dopo un po’ di tempo diveniva desueto e passava, surclassato da una nuova moda. Da qualche anno a questa parte alcune “mode”, invece, non passano ma si stratificano l’una sull’altra acquistando lo spessore di un vero e proprio basamento, di un background culturale, o per meglio dire ideologico, che contribuiscono a formare e consolidare: un modo di pensare comune, omologato, un “pensiero unico”. Si tratta di “luoghi comuni” divenuti obbligatori per poter parlare in pubblico. Ma non solo in pubblico, ormai anche in privato, perché se non ti esprimi in un certo modo anche i tuoi vicini e quelli che ti sono in qualche modo “amici” non ti capiscono, o almeno si meravigliano, quando non danno segni espliciti di riprovazione. Non è forse stato in questo modo che sono passati nella mentalità comune un nuovo concetto di “famiglia”, di convivenza “civile”, di “diritti umani”, e perfino di “religione” e ormai anche di “Chiesa”? Chi se ne accorge finisce per non riuscire più a farsi capire e a sentirsi capito quasi da nessuno, neppure da coloro che gli sono sempre stati vicini e amici.
In ogni caso, anche chi percepisce il disagio, il malessere che deriva da questa situazione, magari senza comprenderne le ragioni di fondo, si rassegna ad un “oggi le cose vanno così”, sottintendendo che “bisogna adattarsi”, che non si può non “adeguarsi”. Quanti genitori, di fronte ai loro figli che hanno imboccato “nuove strade” nella loro vita familiare o di single, si sono sentiti “costretti”, con tristezza, ad una simile rassegnazione!
Sembra un meccanismo automatico che procede da solo senza che nessuno lo guidi, lo controlli, senza un’origine e apparentemente senza uno scopo. Ma è davvero senza origine e senza scopo? Che cosa è successo veramente e sta succedendo a ritmi sempre più inesorabili?
Ciò che c’è di più tragico, soprattutto per chi è credente, ma non solo e direi soprattutto per chi oggi ancora è capace di “pensare”, di “giudicare” gli avvenimenti che ci circondano e, più in generale quelli della storia, è che questo fake background che impone slogan e parole d’ordine, è entrato, un po’ alla volta, anche negli ambienti di Chiesa e ne ha penetrato i luoghi di formazione e, infine, quelli di governo, influenzando e deformando il modo di pensare e di prendere le decisioni. E il “popolo” sta a guardare ignaro,[2] disorientato e quasi sempre scontento; solo da parte di alcuni, però, affiora la capacità di farsi sentire esprimendo un giudizio seriamente motivato.
Un paragone molto istruttivo
Questa situazione mi ha fatto tornare alla mente un’espressione che era in uso presso i cosiddetti dissidenti di Charta 77,[3] un fenomeno culturale che nella allora repubblica socialista cecoslovacca resisteva al regime che imponeva, conformemente all’ideologia totalitaria che lo ispirava, un clima culturale segnato anche nel linguaggio da “formule obbligatorie”, “giudizi prefabbricati” che dovevano essere dichiarati veri anche quando erano manifestamente falsi e contrari alla dignità delle persone. Era in uso presso i dissidenti, qualificare questo linguaggio di regime, come lingua di legno.
«Che cos’è questo linguaggio di legno? Com’è nato? Quali sono le sue caratteristiche. Il nostro più grande drammaturgo, Havel[4] lo chiama “ptedepe”: una lingua ufficiale. Ora questa lingua di legno riconosce solo tre stili. Il primo è lo slogan. […] Ora lo slogan si rivolge a chi si identifica con un apparato. Affinché lo slogan non sia ridicolo occorre che voi vi identifichiate con questo apparato, lo slogan non vuole convincere.[5] Si stabilisce perciò il primo ponte di comunicazione: coloro che si identificano con l’organizzazione usano lo slogan. Lo slogan domina direi il 40% della comunicazione. […]
Il secondo grande stile di questo sistema è il manuale […] un insieme di argomentazioni che debbono spiegare la differenza tra la realtà e la dottrina. […]
Il terzo grande stile, a noi più familiare perché lo percepiamo dall’esterno, è l’apologia. L’apologia è molto mortificante perché spesso viene usata come arma di ricatto. […] Quando qualcuno criticava si diceva: “Lo fa a favore del nemico”».[6]
Questa descrizione, messa a confronto con la nostra odierna situazione, fa capire “sorprendentemente” (almeno per i più, ma non per chi è stato capace di un “giudizio” sulla storia) che questo clima di regime, dopo circa quarant’anni è arrivato anche da noi, come frutto di quella fusione tra le due ideologie che hanno dominato, separate dalla cortina di ferro fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Da una parte l’Occidente e dall’altra l’Oriente europeo e le loro estensioni extra-europee. E ora che il muro è stato abbattuto non sono più separate, ma si sono unificate.
Ciò che George Orwell (1903-1950) aveva previsto nel suo 1984 si è puntualmente verificato, come lo aveva previsto ancor prima e descritto con un’efficacia e un dettaglio sorprendenti Robert Hugh Benson (1871-1914) ne Il padrone del mondo, nel quale anche la Chiesa appare ridotta ai minimi termini[7] dal nuovo “potere mondiale unificato” e segnata dal tradimento di un nuovo Giuda.[8]
Valdimir Solovëv (1853-1900) ancor prima di loro, da uomo di cultura e di fede cristiana aveva letto la storia in “chiave teologica”, oltre che culturale e politica, individuando la radice profonda di tutto ciò che si stava preparando e che oggi noi ci troviamo a vivere, nell’emergere nella storia della figura dell’Anticristo, preannunciata fin dal Nuovo Testamento. Egli lo descrive come benefattore, pacifista, umanitario, inclusivo e misericordioso più di Cristo stesso.[9] Queste e altre simili parole sono diventate anche gli slogan obbligatori dei nostri giorni…
Come non soccombere ad un clima pervasivo che Benedetto XVI, già prima della sua elezione al soglio pontificio, qualificava come una «dittatura del relativismo»[10] e che oggi è divenuta così sofisticata da attuarsi trasversalmente sia negli stati che hanno esplicitamente rinnegato ogni forma di democrazia, sia in quelli che ne hanno mantenuto ancora una maschera di facciata che ne copre il vero volto?
Dopo la colonizzazione culturale-ideologica dell’istruzione scolastica e universitaria, dei mezzi di comunicazione (giornali, editoria, cinema, teatro, radio e televisione) uno spazio libero è stato offerto finora prima dal web e poi dai social network, ma un po’ alla volta, la mentalità dei singoli e dei gruppi ha mostrato di aver assorbito al punto tale il “pensiero unico” – spesso inconsapevolmente – da portarlo anche dentro questi spazi finora rimasti incontrollati. E così anche in rete lo spazio, che pure c’è ancora e non si può non usarlo, si è ristretto, ad opera dei suoi stessi fruitori, ormai in gran parte uniformati. Ne è una riprova il fatto che, essendo pressoché scomparso ogni residuo di coscienza morale naturale, non pochi si lasciano andare, sentendosi illusoriamente protetti dal finto anonimato della rete, ad esprimere il peggio dei loro pensieri e moti interiori. Comunque, ormai, anche questi spazi di comunicazione stanno per finire sotto censura: in nome della difesa dalle fake news si farà inevitabilmente avanzare il fake bakground.
Il ritorno al Samizdat
A questo punto mi è tornata alla mente una via d’uscita che, coloro che pensavano da uomini liberi, furono capaci di realizzare in una situazione in cui gli spazi per una sincera comunicazione erano veramente nulli, nella Russia sovietica: il Samizdat.
Noi oggi abbiamo bisogno di qualcosa del genere per poter condividere un “giudizio sulla storia” che non sia costretto dentro le maglie degli slogan, dentro gli assiomi del manuale dell’ideologia del fake background che costringe a marciare sotto il comando del Nuovo Ordine Mondiale, dentro la forzosa apologetica che inscena delle fasulle “spiegazioni” che riconducono tutto agli “ordini di scuderia”.
Bisogna reinventare un Samizdat anche qui da noi. Naturalmente oggi abbiamo a disposizione dei mezzi tecnologici molto più potenti e sofisticati e di questi possiamo avvantaggiarci. In più possiamo ancora radunare le persone – almeno per ora – in gruppi privati di discussione amichevole e di istruzione catechetica, in convegni e in corsi di formazione.
Pensando, in particolare alla formazione degli insegnanti, dei docenti universitari, alle scuole di dottrina sociale, ai corsi di aggiornamento per coloro che operano nei mezzi di comunicazione sociale, occorre utilizzare questi ambiti e queste occasioni per confrontarsi su ciò che sappiamo essere vero ed è interdetto pubblicamente, così da preservarci “sani” culturalmente e psichicamente, perché sani spiritualmente. Quello che non può essere detto per non subire oltre certi limiti l’esclusione sociale e civile, che si sia aiutati almeno a “pensarlo”, per non perdere la propria anima!
E se siamo credenti sappiamo bene anche che questo è ciò che deve fare la Chiesa e dobbiamo aiutarla perché ritorni a farlo davvero, per essere pienamente se stessa, senza lasciarsi risucchiare dentro il fake background dominante. Di certo faremo tutto quello che ci compete, con l’aiuto di Dio!
* Già ordinario di fisica matematica all’università di Bologna e Bari e assistente dell’Ufficio regionale delle Comunicazioni sociali della CEER.
[1] «La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace» (w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/
communications/documents/papa-francesco_20180124_messaggio-comunicazioni-sociali.html).
[2] Viene alla mente la descrizione che nel Vangelo troviamo della scena della Passione di Cristo dinanzi alla quale «Il popolo stava a vedere» (Lc 23,35).
[3] Siamo negli anni della Primavera di Praga.
[4] Vaclav Havel (1936-2011) allora pressoché sconosciuto in Occidente – se si fa eccezione del prezioso e paziente lavoro di traduzione e pubblicazione svolto dall’allora Centro Studi per l’Europa Orientale (CSEO), ideato e diretto da Francesco Ricci che ha dato successivamente vita a Il nuovo Areopago – divenne noto in tutto il mondo solo dopo la sua elezione a presidente della repubblica ceca nel 1993 (nota mia).
[5] Lo slogan ha lo scopo di inglobare in un forzato sistema di appartenenza che ti chiede di usarlo per avere il diritto di esistere socialmente al suo interno (nota mia).
[6] V. Belohradski, “Diritti dell'uomo e stato socialista'”, in Atti della manifestazione “libertà e valorizzazione dell’uomo nei riferimenti culturali dell'est europeo”, Bollettino a.c.e.r., n.~23 (1980), p.~24-26.
[7] R.H. Benson, Il padrone del mondo, Jaca Book, Milano, p. 250.
[8] «È accaduto quello che doveva accadere. Noi pure, del resto, non abbiamo alcun dubbio intorno all’azione commessa da quest'uomo… a lui pure Gesù Cristo porse con le sue mani il frammento del pane dicendo: “Quel che sei per fare, fallo quanto prima; e ricevuto il frammento, uscì subito; e la notte era venuta…”» (ivi, pp. 317-318).
[9] «Il Cristo è stato il riformatore dell’umanità, predicando e manifestando il bene morale nella sua vita, io invece sono chiamato ad essere il benefattore di questa umanità, in parte emendata e in parte incorreggibile. Darò a tutti gli uomini ciò che è loro necessario. Il Cristo, come moralista ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò con i benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi. Sarò il vero rappresentante di quel Dio che fa sorgere il suo sole e per buoni e per i cattivi e distribuisce la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace» V. Soloviëv, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Marietti, Genova 1996, p. 169-170.
[10] Omelia del Card. Josef Ratzinger per la Missa pro eligendo pontifice, 18 aprile 2005.