Riassunto
Vengono prese in considerazione alcune tesi provvisorie per la disuscione, sia sotto il versante delle scienze sperimentali e che sotto quello delle scienze logico-formali.
Prima tesi. Occorre un quadro epistemologico “più ampio” di quello delle scienze osservative di cui oggi disponiamo per poter parlare della verità di una teoria nell’ambito di una scienza osservativa.
Seconda tesi. Anche nel caso delle scienze formali occorre un quadro epistemologico “più ampio” di quelle stesse scienze per poter parlare di una qualche “verità degli assiomi”, che diversamente vengono accettati per convenzione.
Il tema del rapporto tra scienza e verità, nel quadro “moderno” del pensiero, si presenta, in entrambi i casi, come una problema “extra-scientifico”, come una questione filosofica, o se si vuole una questione “epistemologica” nel senso di “inerente alla filosofia delle scienze”. Non è dominabile con i metodi stessi delle scienze come attualmente sono concepite e praticate.
Per essere posto scientificamente il problema del rapporto sicienza-verità necessiterebbe di una riflessionemetascientifica. Ma questa a sua volta avrà bisogno di una meta-metascienza e così via, con il rischio, che appare inevitabile, di un ricorso all’infinito e, quindi con l’impossibilità logica di fondare la verità di principi primi. Se nel quadro delle discipline moderne questo ricorso all’infinito sembra ovvio (basti pensare alle conseguenze del teorema di incompletezza di Gödel), nel quadro delle scienze aristotelico-tomiste questo non accadeva, in quanto si giungeva rapidamente ad una scienza dei principi primi, non dimostrabili, ma irrinunciabili (e in questo senso chiamati “evidenti”) e quindi non scelti per convenzione, ma per la loro inevitabilità, pena l’impossibilità di pensare e di argomentare. Si ha allora una:
Terza tesi. Il problema della verità (dal versante della logica) è legato alla possibilità di identificare alcuni principi primi “irrinunciabili”, che non possono essere quindi scelti per convenzione, ma che “devono essere ammessi anche quando si cerca di negarli”.
La possibilità di evitare il ricorso all’infinito e di giungere, con un numero finito di passi (metascienze), a dei principi primi, era legato — nel quadro aristotelico-tomista — al fatto che ogni metascienza non era appena un sistema assiomatico più esteso quantitativamente, ma una scienza qualitativamente diversa. Per qualitativamentediversa s’intende, ad esempio, il fatto che i diversi gradi di scienze coglievano l’oggetto sotto aspetti (oggetti formali) diversi e con diversi gradi di astrazione e non solo sotto quello della quantità e della relazione come accade nelle scienze moderne.
Inoltre la differenza più marcata tra la concezione aristotelico-tomista e la scienza moderna sta nel fatto che anche le scienze più astratte e formali mantenevano sempre un certo grado di riferimento alla realtà extramentale (riferimento all’essere). I principi primi irrinunciabili che fondano le scienze formali, nel quadro di questa concezione, sono l’equivalente logico dei principi primi che fondano l’esistenza e le proprietà del mondo extramentale. Questo legame è necessario per poter parlare di verità come “adequatio”, come corrispondenza tra teoria e realtà a livello delle scienze osservative. C’è da chiedersi se questo legame possa, in qualche modo, rivelarsi indispensabile anche a livello delle metascienze odierne.
Si giunge così a formulare le ulteriori tesi:
Quarta tesi. Il problema della verità delle teorie scientifiche, ovvero del loro valore
conoscitivo, non è altro che un sottoproblema di quello del realismo nella conoscenza.
Quinta tesi. Il realismo non può trovare il suo fondamento nelle scienze, ma in una
metascienza che lo richiede come principio irrinunciabile di conoscenza.
Per spiegare la realtà, nei suoi fondamenti e senza ricorso all’infinito, non basta pensarla come costituita di “mattoni elementari” fatti della stessa materia degli oggetti macroscopici (tesi materialista), ma occorrono, ad un certo livello, principi costitutivi di natura diversa (analogia entis). Similmente, per fondare le scienze, occorrono delle altre scienze (metascienze) differenziate qualitativamente (cioè con differenti statuti epistemologici): abbiamo così un’analogia anche tra le scienze. Se non si ammette questa differenza di natura tra i vari livelli dell’ente e delle scienze, il ricorso all’infinito appare inevitabile e la fondazione del realismo e, quindi della verità come “adequatio” appare impossibile. Si ha, dunque, la:
Sesta tesi. La nozione di verità come “adequatio” e il realismo non possono trovare il loro fondamento senza l’analogia. Quindi (corollario): la verità di una scienza non può essere stabilita che in un sistema di scienze che includa una teoria dell’analogia.
La necessità di una teoria dell’analogia sembra presentarsi, oggi, là dove le scienze hanno a che fare con dellestrutture di qualsiasi natura (biologica, chimica, fisica, informatica, matematica, logica, o altro) che si presentanoorganizzate secondo livelli gerarchizzati che differiscono tra loro non solo quantitativamente, ma qualitativamente essendo di natura diversa, pur avendo qualcosa di reale in comune. Un simile tipo di strutturanon viene generalmente qualificato dagli scienziati con il termine analoga, quanto piuttosto con quello dicomplessa. La constatazione dell’irriducibilità dei livelli tende a mettere in questione il riduzionismo come metodo della scienza e, quindi, a sollecitare un ampliamento della metodologia e della stessa razionalità scientifica.