Che cosa è finita? Che significano quei “tre puntini” all’inizio del titolo?
Già nel 2015 il Card. Caffarra, di fronte alla mozione approvata dal parlamento europeo sulle unioni gay ebbe a dire in un intervista al compianto Luigi Amicone: «Siamo alla fine! L’Europa sta morendo». Ricordandomi queste parole, subito dopo il sinodo dell’Amazzonia del 2019, pensando non soltanto all’Europa, ma alla stessa dottrina e alla vita cristiana nella Chiesa, avevo “buttato giù” qualche riflessione sotto forma di appunti. Poi mi sono trattenuto dall’inviarli per essere pubblicati, perché ho pensato che potessero sembrare “troppo pessimisti”. Ma è bastato attendere meno di un anno perché molto si realizzasse, o almeno, la realizzazione si stesse preparando a passi rapidi. E così ho deciso di attendere ancora…
Ora, però, nella notte della “Passione della Chiesa” – che è il «Corpo di Cristo» (1Cor 12,27) che vive lungo i secoli della storia – ad imitazione della Passione di Gesù, dopo una sorta di nuovo “bacio di Giuda” – non voglio dire di più, ma «chi ha orecchi per intendere intenda» (Mc 4,23) – si prospetta uno strampalato “sinodo sulla sinodalità”, che somiglia più ad un “nuovo sinedrio”, nel quale Gesù non sarà neppure ammesso, né interrogato sulla sua dottrina, tanto è da considerarsi obsoleta, e da cambiare… Un sinodo che si annuncia come un’accozzaglia di contraddizioni, come si contraddicevano le testimonianze contro Gesù, proprio nel sinedrio al tempo della Sua Passione («le loro testimonianze non erano concordi», Mc 14,56).
Così mi sono deciso a riprendere in mano quei miei primi appunti, come riflessione che vuole essere, al contempo, “realistica” e “di fede”, sapendo bene che, comunque vadano le cose “Cristo ha già vinto”, come ci ricordava sempre con serena certezza, il Card. Biffi. E si tratta di attendere il momento in cui ciò sarà evidente, dopo il decomporsi di tutto il resto.
Ho fatto, necessariamente qualche aggiunta a completamento, dopo i nuovi eventi, e ho deciso di proporli oggi. Piuttosto che prendere parte ad interminabili dibattiti “botta e risposta” sul Concilio Vaticano II, non è meglio affrontare la realtà per quello che è, e correre ai ripari preoccupandosi, più realisticamente, di offrire aiuti formativi ai fedeli, piuttosto che discutere con dibattiti interminabili su “di chi è la colpa”, mentre la nave è in pericolo?
Teniamo conto che i dibattiti sul Concilio sono divenuti ormai abituali sui blog fino ad annoiare, quasi sempe alla ricerca del “capro espiatorio” sul quale addossare tutte le responsabilità dei mali odierni della Chiesa (un lavoro che può competere ormai più agli storici che alle persone comuni, senza dimenticare che lo Spirito Santo sa “reggere l’urto” anche dei limiti degli uomini!).
Ancora il Card. Caffarra, pochi giorni prima di morire – l’ho sentito con le mie orecchie da vicino, con alcuni amici – ci disse: «Nella dottrina cattolica tutto tiene in una maniera così profonda, così intima, così sostanziale, che se si toglie un mattone l’edificio crolla». Ed è quanto sembra proprio accadere oggi nella Chiesa cattolica, giorno dopo giorno, si toglie un mattone dopo l’altro, con il compiacimento di alcuni “registi” di questo “brutto film”, e il disgusto intristito di non pochi tra gli “spettatori”. Oltre, purtroppo, all’indifferenza non accorta dei più («mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti», Lc 17,27).
Quante “buone persone” nelle parrocchie, nei movimenti e anche negli istituti religiosi, si sono sempre sentite sicure, potendosi fidare dell’autorità ecclesiastica, protette da una “regola”, nell’eseguire ciò che veniva loro chiesto dai responsabili e dai superiori, senza porsi nemmeno il minimo dubbio che non fosse una cosa buona… E fino a qualche anno fa ci si poteva fidare, ma ora, in un tempo nel quale l’ambiguità tra la dottrina e la prassi pastorale sta dominando e i metodi della vita ecclesiale sono divenuti più “politici” che “di fede”, non si può legittimamente “fidarsi” abbandonandosi ad un’ingenua “obbedienza” all’andazzo generale.
Come scrisse san Massimiliano Kolbe: «L'obbedienza, ed essa sola, è quella che ci manifesta con certezza la divina volontà. È vero che il superiore può errare, ma chi obbedisce non sbaglia. L’unica eccezione si verifica quando il superiore comanda qualcosa che chiaramente, anche in cose minime, va contro la legge divina. In questo caso egli non è più interprete della volontà di Dio» (Ufficio delle Letture del 14 agosto). Soprattutto per quanto riguarda i Sacramenti che non sono «cose minime»!
Ma anche di fronte a cose che appaiono ai più ormai «minime» come, ad esempio, la nuova versione italiana del “Padre nostro” (si veda in proposito: A.M. Valli ed., E non abbandonarci alla tentazione. Riflessioni sulla nuova traduzione del Padre Nostro, Chorabooks 2020), che è entrata in vigore (Pasqua 2021), con la nuova edizione del messale italiano, o altri discutibili cambiamenti ai quali mi sento obiettare: «Ma si tratta di un piccolo cambiamento, di poche paroline. Lei è l’unico che mi fa queste osservazioni critiche; gli altri sacerdoti non me le fanno»… Per non parlare del modo con il quale viene ormai normalmente trattata e distribuita l’Eucaristia.
Oggi, incredibilmente, non sembra proprio essere più possibile fermarsi a questo modo “semplicistico” di vivere la fede! Oltre alla semplicità delle colombe si è reso necessario dotarsi assolutamente anche della scaltrezza dei serpenti (cf. Mt 10,16). Del resto, il Vangelo lo ha previsto fin dall’inizio. Certo il “semplicismo” dell’eseguire acriticamente tutto e il contrario di tutto, sul momento, rende la vita più facile e non crea problemi immediati! Ma un mattone dopo l’altro si finisce per smontare l’edificio cattolico (e perfino quello cristiano! E anche quello della ragione!), costruito sulla roccia, per sostituirlo con la casa costruita sulla sabbia (cf. Mt 7,26) delle mode e delle ideologie. Si sta precipitando, da tempo, in un idolatrico panteismo ambientalista e relativista pieno di incoerenze e contraddizioni, fedele all’unica obbedienza al Nuovo Ordine Mondiale, ai padroni del mondo, pilotati da un unico Padrone del mondo («il principe del mondo», Gv 14,30).
Ecco che, allora, la formula di congedo che i sacerdoti recitano, usualmente, al termine della celebrazione della santa Messa (“La Messa è finita: andate in pace!”)
– dopo quello strano “sinodo amazzonico”, e ora con l’avvicinarsi di quello ancora più strambo sulla “sinodalità”;
– dopo il documento di Abu Dhabi e la sequenza in crescendo delle encicliche Laudato sii e Fratelli tutti,
– con il sinodo della chiesa in Germania;
– e dopo le ultimissime nomine,
sembra avere assunto un significato ben più grave di quello che conclude ogni singola celebrazione della Messa. Che cosa dobbiamo aspettarci, se si continuerà su questa strada?
Qui ci spostiamo dai fatti già accaduti al campo di un futuro prossimo assai plausibile, o almeno non impossibile, e ci si deve augurare sinceramente di sbagliare. Ma Gesù stesso nel Vangelo ci raccomanda di saper leggere i segni dei tempi (cfr. Mt 16,3) e non farci cogliere alla sprovvista, senza la “riserva dell’olio” come accadde alle vergini stolte (cf. Mt 25,3).
La dottrina si può benissimo ignorare, o rendere via via ambiguamente “liquida”, fino magari a riscriverla più aggiornata. È questo che si prospetta al prossimo sinodo?
E dalla congregazione per la dottrina della fede, che cosa dobbiamo aspettarci? Ben prima della liturgia, poi, si sono “normalizzati” progressivamente “nella prassi”, ormai da anni il divorzio, l’aborto e ora si tendono a “normalizzare” in sequenza l’eutanasia, e perfino la pedofilia, il satanismo come una delle tante accettabili forme di “religione” (il relativismo è “inclusivo”!). Siamo in presenza di una civiltà e di una cristianità che si autodistruggono, lasciando il posto ad altri, non cristiani, che soli ancora avranno ancora tanti figli e arriveranno sempre più numerosi?
Se dobbiamo considerare non solo ammissibili, ma addirittura “paradigmatici”, gli esempi di sincretismo e idolatria, che abbiamo già visto compiersi nei giardini vaticani e in Santa Maria in Traspontina, e poi anche altrove, chi potrà non sentirsi autorizzato a fare altrettanto e “di meglio” seguendo un “processo” ormai avviato e ben collaudato? E magari anche anticipando un rito simil-amazzonico da importare qui da noi come “modello esemplare” di inculturazione, chiedendo pure scusa se non l’abbiamo fatto prima. Ora mentre tutto sembrava temporaneamente tacere, in realtà tutto procedeva. È impressionante ricordare, a distanza di anni, le parole di padre Pio – san Pio da Pietrelcina – che profetizzava il giorno in cui la Messa non ci sarebbe stata più («La mia missione finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa», in A. Gnocchi e M. Palmaro, L’ultima Messa di Padre Pio, Fede & Cultura, 2019, p. 9 e p. 18). Oggi c’è il rischio che quel giorno si stia avvicinando. Se si tiene conto del carisma profetico – quello di leggere in anticipo i tempi – del quale era dotato questo santo, il riferimento a quanto sta accadendo oggi è per lo meno plausibile? Basterà arroccarsi, rifugiandosi clandestinamente nel vetus ordo, incolpando in blocco tutto ciò che è avvenuto dopo, o dietro c’è qualcosa di più sostanziale da affrontare? Magari con il rischio di non trovare più un sacerdote validamente ordinato che celebri la Messa nell’uno come nell’altro rito?
(il seguito nella Parte 2)