Alcune riflessioni a partire dalla dottrina di san Tommaso d’Aquino sul peccato originale

alcune riflessioni a partire dalla dottrina
di san tommaso d’aquino sul peccato originale

 

Alberto Strumia

 

Introduzione - Il peccato originale a partire da alcuni testi Tommaso d’Aquino - La partecipazione della natura umana nel singolo uomo - La perdita o diminuzione di alcuni beni di natura - Conclusioni

Introduzione

Il metodo di lavoro filosofico-teologico di san Tommaso d’Aquino è stato spesso considerato in qualche modo “superato” dalle correnti filosofiche e teologiche moderne e contemporanee in quanto ritenuto troppo “oggettivistico”, “non storico”, scarsamente interessato ad una “prospettiva esperienziale”, e quindi non di rado messo in secondo piano, se non accantonato, non solo nell’ambito della ricerca, ma non di rado anche nei curriculaformativi.[1] Anche se ad un lettore attento e non prevenuto, i testi di Tommaso non mancano mai di offrire tratti di finezza psicologica e di intelligenza dell’esperienza umana davvero sorprendenti, insieme ad una chiave di lettura che raccorda l’elemento soggettivo con la sua base oggettiva metafisica, antropologica e cognitiva. Si tratta di una capacità di sintesi di cui oggi si avverte la mancanza e si può percepire quindi ancora di più il valore.

L’inevitabile datazione delle sue concezioni scientifiche non è sufficiente ad intaccarne l’impianto logico e metafisico che oggi sembra possa e debba essere, in qualche modo, nuovamente trovato anche a partire da una adeguata “teoria dei fondamenti” delle nostre scienze. Sorprendentemente ai nostri giorni, sono proprio le scienze che un tempo erano considerate le più “dure”, lontane e avverse alla visione aristotelica e medioevale a riscoprire, con i loro metodi e i loro linguaggi formalizzati, la necessità di raggiungere dimostrativamente dei “fondamenti” logici e metafisici ai quali non possono più rinunciare per dare consistenza ai loro stessi risultati e salvare la loro capacità di progredire ulteriormente come scienze.[2]

La mentalità scientifica odierna, poi, è certamente facilitata ad incontrarsi con un metodo dimostrativo, logicamente sistematico, diciamo pure “scientifico”, come quello di Tommaso, piuttosto che con un metodo puramente descrittivo e narrativo. E questo facilita anche una ricerca di tipo autenticamente interdisciplinare tra filosofia, teologia e scienze, resa possibile dal riferirsi ad un “fondamento comune” di tipo logico-metafisico, in vista di una visione di sintesi delle varie problematiche, corredata dai punti di vista complementari di più discipline.

Tra i temi interdisciplinari più rilevanti e difficili che coinvolgono ineludibilmente la teologia, data la sua natura fondata sulla Rivelazione, troviamo proprio quello del “peccato originale”.

Vorrei cercare di esporre, qui, nei suoi termini principali:

—in primo luogo, alcuni elementi della dottrina di san Tommaso sul peccato originale;

—in secondo luogo, come una sorta di possibile sviluppo, o corollario, qualche traccia di riflessione in merito ad alcune questioni di carattere interdisciplinare legate al problema della “comunicazione”, o “propagazione”, o “trasmissione” del peccato originale e alla sua “ricaduta cosmologica”. Distinguerò con l’appellativo di “corollari” questi possibili sviluppi, quando se ne presenterà l’occasione.

Articolerò l’esposizione secondo i seguente schema:

A)      una premessa sul modo generale con cui Tommaso affronta il problema del peccato originale;

B)      la definizione di peccato originale;

C)      il peccato originale come peccato di natura

D)      le cause del peccato originale;

E)       gli effetti del peccato originale;

F)        La comunicazione (trasmissione) del peccato originale.

 

 

Il peccato originale a partire da alcuni testi Tommaso d’Aquino

Venendo alle fonti, tra i passi principali in cui Tommaso tratta del peccato originale vanno visti soprattutto i trattati nei quali l’argomento viene esaminato con ampiezza e completezza nei suoi diversi aspetti. Essi sono reperibili nei seguenti passi:

II Sent., d. 20, q. 2, a. 3 (sulla iustitia origianlis); d. 30, q. 1 (argomenti connessi); d. 31, q. 1 (trasmissione);

I-II, qq. 81-83 (trattato); II-II, qq. 163-164 (trattato: causa/pena/tentazione);

De malo, q. 4 (trattato);

CG, L. 4, cc. 50-52 (argomento razionale: obiezioni e risposte);

Comp. Theol., L. 1, cc. 189-196 (trattato);

In Ad Rom., c. 5. lc. 3 (trattato).

 

A - Il modo di affrontare il tema: una cristologia “rovesciata”

Prima di entrare direttamente nel contenuto dei trattati vale la pena fare un’osservazione generale sul modo in cui Tommaso affronta un tema del tutto speciale come quello del peccato originale. Trattandosi di un argomento non deducibile razionalmente, alla cui conoscenza si perviene attraverso la Rivelazione (pur non mancando argomenti razionali di convenienza che si possono accompagnare opportunamente al dato rivelato, una volta che questo sia noto), egli non può non seguire il percorso offerto dalla Scrittura e, in particolare quello paolino, ricostruendo in qualche modo “a ritroso” il percorso della cristologia (cfr. In Ad Rom, c. 5. lc. 3): se Cristo è il “nuovo Adamo”, attraverso una sorta di cristologia rovesciata, possiamo risalire ad una certa conoscenza dell’antropologia teologica del “primo Adamo”. All’“unicità di Cristo” sembra dover corrispondere, secondo questa prospettiva, anche l’“unicità di Adamo”, nome che unisce in sé sia i caratteri di un singolo individuo, che quelli della prima coppia (Adamo ed Eva), che quelli dell’intera umanità. Tommaso propone una sua spiegazione, in chiave metafisica, di come in un solo uomo si unifichi l’intera natura umana o genere umano.[3]

 

B - Definizione di peccato originale

Possiamo utilmente partire dalla “definizione” dell’oggetto di cui egli intende trattare: il quid sit.[4] Per poi passare, dopo averla analizzata, a dire qualcosa sul peccato originale come “peccato di natura”, sul suo “soggetto”, sulle sue “cause” e i suoi “effetti”, e su come si “comunichi” a tutti gli uomini. Ognuno di questi aspetti potrà poi essere messo a confronto anche con problematiche scientifiche con le quali oggi si viene ad interfacciare.

Per Tommaso il peccato originale si definisce come:

«Carenza della giustizia originale».[5]

[I-II, q. 82, a. 1, arg. 1; In Ad Rom, c. 4, lc. 1]

Si tratta di una formula che egli riprende letteralmente da Anselmo,[6] differenziandosi in certa misura da Agostino il quale accentua il ruolo della “concupiscenza”,[7] elemento che l’Aquinate recupera in una diversa prospettiva.[8] Il fattore concupiscenza non è certamente trascurato da Tommaso, in quanto essa rientra nel peccato originale come suo “costitutivo materiale”. In questo l’approccio aristotelico, che prevede in ogni entità composta una “materia” e una “forma”, gli è di aiuto in quanto gli consente di affermare che:

—l’elemento “formale” del peccato originale è il venir meno (perdita/mancanza) della giustizia originale (carentia defectus originalis iustitiae) e

—l’elemento “materiale” del peccato originale è la “concupiscenza” (concupiscentia):

«Il peccato originale, in effetti, materialmente consiste nella concupiscenza, formalmente però consiste nella carenza della giustizia originale».[9]

[I-II, q. 82, a. 3co]

Come ogni definizione, per essere compresa, anche quella di peccato originale, richiede una spiegazione puntuale dei suoi singoli termini.

1. Carentia: possiamo rilevare come in questo primo termine della definizione siano inclusi insieme due significati:

—quello di “carenza” come mancanza (privatio,[10] defectus[11]) di qualcosa che non c’è più perché ora manca come “effetto” di una qualche causa che lo ha rimosso; e in quanto “effetto” ci rimanda alla nozione di peccato originale “originato”, constatato come un dato di fatto che si riscontra esperienzialmente e oggettivamente nella condizione concreta di ogni uomo;

—quello di mancanza come “causa” che produce un tale effetto: mancando la causa viene meno anche l’effetto; e in quanto “causa” ci rimanda alla nozione di peccato[12] originale “originante”.[13] Ancora però non è spiegata la natura “responsabile” di tale causa, ovvero la sua natura vera e propria di peccato come “colpa”. Questa può essere meglio rinvenuta introducendo il secondo termine della definizione che è iustitia.

2. Iustitia: il peccato originale è una questione di giustizia che è venuta a mancare (carentia iustitiae). La giustizia, per definizione riguarda il rapporto di un soggetto razionale e responsabile con l’“altro”.[14] Nel nostro caso:

—prima di tutto il rapporto con Dio che è il primo interlocutore di Adamo;

—e di conseguenza con gli esseri umani a cominciare addirittura da se stessi (perdita del pieno dominio di sé) e poi con gli altri uomini (ricaduta “antropologica” e “sociale” del peccato originale);

—e più in generale con tutto il creato (ricaduta “cosmologica”).

La perdita della giustizia nel rapporto con l’altro, esigendo la libera scelta di un essere razionale,[15] non può essere che a “causa” di un “atto responsabile” di una o di entrambe le parti in gioco e quindi una “colpa” (peccato). E nel rapporto tra l’uomo e Dio non può che essere colpa responsabile dell’uomo, in quanto a Dio sommamente giusto non può essere imputata per definizione alcuna ingiustizia, e quindi neppure la colpa del peccato originale.[16] Dunque la perdita della giustizia originale non può che avere ragione di peccato (colpa) di cui è responsabile il primo uomo. Se la responsabilità ricadesse “interamente” su un terzo soggetto razionale — il demonio — sarebbe questo il colpevole dell’ingiustizia nei confronti di Dio e non vi sarebbe alcun peccato originale dell’uomo. Tommaso insiste sulla necessaria libertà dell’uomo nell’assecondare volontariamente il tentatore.

Inoltre la responsabilità va attribuita al “primo uomo” nel quale tutta la “natura umana” è originariamente unificata.

 

***

Corollari

—A noi, oggi, verrebbe spontaneo dedurre, a partire da questa impostazione, che anche se la natura umana fosse comparsa più o meno simultaneamente in più parti del pianeta, o addirittura del cosmo (poligenismo), ci sarebbe comunque stato un primo e da questo dipenderebbe originariamente (originaliter[17]) la perdita della iustitia originalis. Il problema che si pone immediatamente dopo è quello di comprendere in che modo, a partire da questo primo responsabile, tale perdita si comunichi a tutti gli altri, compresi coloro che non sono stati fisicamente generati dal primo che ha commesso il peccato.

—Per primo uomo, poi, si dovrà intendere la prima coppia in quanto rappresentante della natura umana nella sua completezza di genere, o il primo dei due (o Adamo o Eva in senso esclusivo), o un intero insediamento di esseri umani? La risposta che Tommaso dà concretamente a questa domanda è legata, oltre che alla sua esegesi della Scrittura, anche al modello della “generazione” che egli propone per spiegare la “trasmissione” del peccato originale, che dipende necessariamente dalla biologia del suo tempo; biologia che risulta essere oggi certamente inadeguata a confronto con le nostre conoscenze scientifiche. Questa gli impone di dire che se solo Eva e non Adamo avesse commesso il peccato esso non si sarebbe propagato all’intero genere umano, in quanto solo il seme maschile era considerato “attivo” nella generazione.[18] Questo aspetto dovrà essere perciò esaminato in seguito e possibilmente accompagnato da una proposta alternativa.

Stando al racconto della Genesi, preso letteralmente, sembrerebbe piuttosto di poter dire che il peccato originale viene consumato interamente solo con la complicità di entrambi (la coppia Adamo ed Eva) in quanto solo dopo il peccato di entrambi si manifestano gli effetti («Allora si aprirono gli occhi di tutti e due» [Gn 3,7]).

 

***

 

3. Originalis: il terzo termine della definizione, “originale” indica insieme più cose:

—“originale” in quanto si tratta dello stato di giustizia nel rapporto dell’uomo con Dio (e di conseguenza con tutti gli esseri della creazione) stabilito “originariamente” dal Creatore, prima che qualcuno lo infrangesse;

—“originale” nel senso che dalla colpa del primo uomo “segue originariamente” (originaliter) in tutta la “natura” umana e quindi in tutti gli uomini la perdita di tale stato primario di giustizia.

«Il primo peccato corrompe la natura umana in forza di una corruzione che è propria della natura [come tale], mentre gli altri peccati la corrompono in forza di una corruzione che è propria della sola persona».[19]

[I-II, q. 81, a. 2, ad 3um]

E bisognerà cercare di comprendere come tale condivisione in tutta la natura umana si realizzi, poiché dalla comprensione di questo segue anche la comprensione del modo in cui avviene la “comunicazione” del peccato originale.

Ora occorre chiedersi: che cos’è la “giustizia originale”? È ciò per cui:

«con [un preciso] equilibrio

—la ragione dell’uomo  era sottoposta a Dio

—le potenze inferiori lo erano alla ragione

e il corpo all’anima».[20]

[In Ad Rom, c. 4, lc. 1]

La giustizia originale si caratterizza come quello stato (habitus) in cui l’uomo si trovava inizialmente, che faceva sì che vi fosse una perfetta armonia nella dipendenza

—dell’uomo da Dio e

—entro l’uomo stesso, delle sue caratteristiche animali (corporee e psichiche) da quelle razionali (spirituali).

L’infrangersi della pienezza del giusto rapporto di dipendenza dell’uomo con il creatore comporta il venir meno anche dell’equilibrio nel controllo delle facoltà corporee da parte di quelle razionali. E non si tratta solo di una dipendenza in senso morale, ma anche fisico: il controllo è fisiologicamente, emotivamente reso instabile.

Il peccato originale, poi, ha carattere di “peccato di natura” nel senso che non riguarda (sia nelle cause che negli effetti) un singolo uomo, ma la natura umana come tale e quindi ogni uomo.

È un habitus della natura, nel senso di

«disposizione di una natura che è composta da molti individui».[21]

[I-II, q. 82, a. 1co]

 

C - Il peccato originale come “peccato di natura”

Tommaso deve spiegare il dato dogmatico secondo cui il peccato originale, commesso dal primo uomo, ricade sulla intera natura umana sia come “pena” (cioè nei suoi effetti), che come “colpa” (cioè nella partecipazione alla sua causa). Ovvero in che modo il peccato originale si differenzia dal peccato attuale (e da quello abituale) del singolo uomo che non intacca la natura comune a tutti gli uomini, ma principalmente solo la persona di chi li commette e solo per accidens coinvolge gli altri uomini e in certa misura il creato.

 

La partecipazione della natura umana nel singolo uomo

Per chiarire in che modo il peccato originale è un peccato di natura egli ricorre al paragone tra la persona (la sua volontà) e le membra del suo corpo. Bisogna stare bene attenti, però, che per Tommaso questo non è una semplice “immagine” descrittiva, una “metafora”, ma un’“analogia” fondata su una realtà oggettiva, su una base metafisica, che egli sintetizza con la formula ripresa da Porfirio:

«Participatione speciei multi homines intelligantur quasi unus homo».

[I-II, q. 81, a. 1]

Formula difficile da rendere in italiano per l’ambiguità e simultaneità del dativo e del genitivo (speciei) sulla quale può giocare il latino a differenza dell’italiano. Potremmo tradurre indifferentemente:

«In forza della partecipazione alla specie [umana] la molteplicità degli uomini può essere pensata come un solo uomo»,

oppure:

«In forza della partecipazione della specie [umana] la molteplicità degli uomini può essere pensata come un solo uomo».

La prima traduzione mette in luce l’aspetto della “solidarietà di appartenenza” sociologica, mentre la seconda traduzione mette in luce il “fondamento metafisico” di cui tale solidarietà è un effetto. Per Tommaso sono presenti entrambi.

Gli uomini sono come un solo uomo in Adamo per la comunanza di natura:

«Tutti gli uomini che nascono da Adamo, possono considerarsi come un solo uomo, in quanto convengono nella natura [umana], che ricevono dal progenitore».[22]

[I-II, q. 81, a. 1co]

In questo modo egli afferma una “solidarietà” tra tutti gli uomini che è sì morale o sociologica (gli uomini sono accomunati di fatto in un sodalizio da una medesima condizione che li porta a solidarizzare), ma è metafisicamente fondata sulla “partecipazione” di/ad unica “natura” (“genere”) che li costituisce tutti come “animali razionali”. L’appartenenza ad una specie (comunanza di natura) non è riducibile all’appartenenza di un “oggetto” ad una “collezione di oggetti” che potrebbero essere anche tra loro eterogenei.[23]

Per cui la solidarietà morale e sociale non è la spiegazione della comunicazione del peccato originale, ma piuttosto l’effetto di una comunanza di natura, il possesso della quale costituisce il singolo uomo nello stato di peccato originale, sia quanto alla colpa che quanto alla pena.

È interessante notare come nel De malo, Tommaso metta in particolare evidenza con l’uso della parola collegium, che potremmo forse tradurre collettività, questo aspetto di solidarietà sociale.

«Ogni uomo può essere considerato in due modi:

—in un primo modo in quanto è una persona singola;

—in un secondo modo in quanto è parte di una collettività.

E un atto può riguardarlo secondo entrambi i modi.

—Lo riguarda come singola persona, quell’atto che egli compie di proprio arbitrio e da se stesso.

—Lo riguarda come parte di una collettività, quell’atto che egli non compie da se stesso, né per il proprio arbitrio,  ma che è compiuto dall’intera collettività, o dalla maggioranza, o da chi ne è a capo. Per cui si dice che quello che fa colui che è a capo, l’ha fatto la cittadinanza […]. In questo senso l’intera collettività umana si può considerare come fosse un solo uomo, in quanto i diversi uomini, con i loro diversi incarichi, sono come le diverse membra di un unico corpo fisico. Così, quindi, la molteplicità di tutti gli uomini, che hanno ricevuto la natura umana dal progenitore, sono da considerarsi come un’unità collettiva».[24]

[De malo, q. 4, a. 1co]

Ma Tommaso si affretta subito a precisare, per evitare l’estrinsecismo sociologico:

«o meglio, come l’unico corpo di un solo uomo. E in questa ciascun uomo-moltitudine, compreso Adamo stesso, può essere considerato o come persona singola, o come un membro di quella moltitudine che deriva da uno solo per origine naturale».[25]

[ibidem]

È questo fondamento metafisico che consente a Tommaso di istituire un’analogia oggettivamente fondata (cum fundamento in re) e non un semplice paragone immaginifico.

 

{E l’analogia è questa: come il corpo è parte costitutiva della persona e la persona con la sua volontà razionale determina gli atti delle membra, così i singoli uomini partecipano della natura umana come ad una specie unica, in cui la parte principale (il primo uomo) è abilitata a compiere alcune scelte (non tutte, perché la nostra libertà rimane per tutte le altre scelte). Si tratta di un paragone che va oltre la solidarietà in senso di appartenenza ad una collettività (Comp. Theol., L. 1, c. 196).[26]}

 

Il primo uomo è qui come il “capo” di quel “corpo” che è l’intero corpo sociale dell’umanità. Il parallelo con la cristologia in cui Cristo, nuovo Adamo, è il “capo” del corpo che è la Chiesa e della nuova creazione a partire dalla quale viene ricostruita l’antropologia è piuttosto evidente. In questo Tommaso segue attentamente lo schema paolino nel suo commento alla lettera ai romani, ove osserva proprio che:

«Vi sono infatti diverse similitudini tra Cristo e Adamo».[27]

[In ad Rom., c. 5, lc. 4]

 

***

 

Corollario

È importante osservare come Tommaso parli espressamente di “partecipazione” senza specificare del tutto, per ora, il “modello” con cui ne spiega l’attuazione. Questo è interessante perché apre, dal punto di vista logico, la possibilità di non fare la scelta, che egli fa poi, di adottare il modello della “generazione” per risolvere il problema della “trasmissione” del peccato originale. Per Tommaso la generazione è il modo in cui la “materia” del corpo, indebolita dal peccato originale nella sua capacità di dipendere perfettamente dall’anima razionale, viene veicolata da un individuo all’altro e, unendosi all’anima spirituale — creata direttamente da Dio senza peccato — la contagia con il peccato originale, all’atto della sua unione con il corpo. Ma a noi, oggi, parrebbe legittimo domandarsi: il peccato originale ha reso solo la materia del corpo del primo uomo in qualche misura insubordinata alla sua anima razionale, o ha avuto lo stesso effetto in qualche modo sulla materia in quanto tale (tutta la materia!), diminuendo il dominio che l’uomo ha su di essa? In effetti la scienza odierna ci dice che la materia di cui un corpo vivente è costituito subisce un ricambio continuo — che giunge più volte ad essere completo — durante la sua esistenza;[28] inoltre nella materia sono presenti “proprietà d’insieme”,[29] che la rendono per certi aspetti un tutt’uno, pur non mancando, soprattutto su scala macroscopica e umana, delle proprietà individuanti che fanno sì che un corpo sia determinato da una ben precisa forma. Sembrerebbe, allora, che non sia fuori luogo pensare che possa essere la materia in quanto tale (ricaduta cosmologica) ad essere resa imperfetta nella sua dipendenza dall’anima umana, o addirittura da ogni altra forma che possa attuarla e non semplicemente quella di un singolo corpo umano, quasi fosse confinata in esso senza scambi con il resto del mondo. Ogni materia verrebbe in tal modo ad essere veicolo del peccato originale e non solo quella trasmessa biologicamente dai genitori.

 

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D - Le cause del peccato originale

Per quanto riguarda le cause del peccato originale, Tommaso spiega, seguendo la dottrina della Chiesa, come vi sia il concorso di una duplice causa nel peccato originale: l’una da parte del tentatore (il demonio), l’altra da parte della volontà umana.

—Da parte del demonio egli chiarisce con molta precisione come il tentatore non intenda ottenebrare la ragione umana fino a togliere la libertà all’uomo:

«Il diavolo […] non può obbligare per necessità a commettere un peccato».[30]

[I-II, q. 80, a. 3co]

Altrimenti l’uomo, non essendo libero ma costretto, non sarebbe più responsabile e quindi non poterebbe essere considerato peccatore:

«Se la ragione gli viene totalmente legata, qualunque cosa l’uomo faccia, non può essergli imputata come peccato».[31]

[Ibidem]

Per cui l’uomo deve essere condizionato (tentato) dal demonio ma non fino al punto di non essere lasciato in condizione di decidere liberamente se dare il suo consenso alla tentazione oppure di negarlo.

—Da parte dell’uomo la causa che lo muove a dare il libero consenso e quindi a compiere il peccato di origine è la “superbia”:

«Il primo peccato dell’uomo è consistito nel fatto che ha presunto di raggiungere [da solo] un bene spirituale che è al di sopra della sua portata. E questo è proprio della superbia. Per cui risulta chiaro che il primo peccato fu di superbia».[32]

[II-II, q. 163, a. 1co]

Il presumere di raggiungere la “somiglianza” con Dio

«con le sue sole forze naturali».[33]

[II-II, q. 163, a. 2co]

E questo:

a) sia sul versante della “conoscenza” del bene e del male[34] mettendo in discussione il giudizio che Dio aveva dato in proposito,

b) che sul versante “pratico” di ciò che occorre compiere per ottenere la piena beatitudine.[35]

Leggendo i testi si nota immediatamente come Tommaso assegni, come si è già detto, una grande responsabilità all’uomo, non scaricando in alcun modo il peso del peccato originale dell’uomo sul peccato degli angeli decaduti: quest’ultimo viene  trattato a parte trattando degli angeli e non sembra avere particolari ricadute sul mondo materiale.[36]

Questa grande responsabilità dell’uomo trova una motivazione ulteriore che la rafforza — oltre al fatto che l’uomo deve essere libero per poter essere responsabile e colpevole pur essendo tentato dal demonio — nel fatto che, nello stato di innocenza, l’uomo era meglio dotato di noi per resistere alla tentazione:

«L’uomo nello stato di innocenza avrebbe potuto senza alcuna difficoltà resistere alla tentazione».[37]

[II-II, q. 165, a. 1, ad 3]

 

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Corollario

Questa grande responsabilità dell’uomo parrebbe avere un peso notevole anche in ordine alla “ricaduta cosmologica” del peccato originale, in quanto l’uomo è una creatura anche corporea (materiale) e non solo spirituale come gli angeli, per cui il disordine del peccato originale, in lui, inerisce direttamente alla materia, cosa che non si può dire dell’angelo che non è legato per natura ad alcun elemento materiale, ma ha con la materia un rapporto causale estrinseco.[38]

In effetti, se ci si attiene alla prospettiva tomista, non sembra che si possa spiegare la presenza della morte degli esseri viventi e dell’evoluzione fino alla comparsa dell’uomo (e quindi precedente al peccato originale dell’uomo) documentata dalle osservazioni scientifiche, come fosse conseguenza del peccato degli angeli.[39]

 

E - Gli effetti del peccato orgiinale

La problematica delle conseguenze (effetti) del peccato originale apre il capitolo che oggi chiameremmo della “ricaduta antropologica e cosmologica” del peccato di origine.

 

La morte e le infermità fisiche

Anzitutto il problema della morte e delle infermità fisiche. L’Aquinate riprende necessariamente l’affermazione di san Paolo:

«Al contrario secondo l’affermazione dell’Apostolo, in Rm 5, il peccato è entrato in questo mondo a causa di un solo uomo, e attraverso il peccato anche la morte».[40]

[II-II, q. 164, a. 1sc; I-II, q. 85, a. 6]

Di fronte a questa dichiarazione sappiamo come si sia posta per i teologi la domanda se la morte dell’uomo, come conseguenza del peccato originale, vada intesa in senso anche fisico come divisione dell’anima dal corpo, o solamente in senso morale in quanto il peccato è una sorta di morte dell’anima (perdita della grazia santificante che è una certa partecipazione alla vita divina).[41]

San Tommaso la intende anche in senso fisico in riferimento all’uomo, operando una distinzione che gli è resa evidente grazie al suo approccio aristotelico:

«La morte è [un fatto]

—naturale, per quanto riguarda la condizione della materia,

—ed è una pena, a causa della una perdita del beneficio divino che preservava da essa».[42]

[II-II, q. 164, a. 1, ad 1]

Si deve dire allora che la morte:

—è un fatto “naturale” per il “corpo” in quanto è fatto di “materia”, perché la materia, essendo composta, è per sua natura corruttibile essendo passibile di trasformazioni che la dissociano e la riassociano secondo diverse forme;

—mentre non è un fatto naturale per la “forma”, cioè per l’“anima” dell’uomo: l’anima umana “razionale” è “incorruttibile” per sua natura. Ciò che la depotenzia, la impedisce nel suo atto di dare vita al corpo (cioè l’infermità e la morte) è contro la sua natura. Ciò è spiegato con maggiore ampiezza nella Summa Contra Gentiles [CG, L. 4 c. 52, n. 2].[43]

 

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Corollario

Tutto questo sembra autorizzarci a dire che per Tommaso la morte dei viventi “non razionali” (piante e animali) non è una conseguenza del peccato originale, in quanto essi non sono dotati di anima incorruttibile e quindi la loro morte si doveva verificare come un fatto naturale anche prima del peccato di Adamo. E ciò, tra l’altro, è del tutto compatibile con un’evoluzione che progredisce dalle prime forme di vita fino a quella che è in grado, per il suo livello di “complessità” organica, di ricevere e far esprimere le facoltà razionali dell’anima umana creata direttamente da Dio per ogni individuo della specie. Anche secondo la Scrittura la morte pare una cosa nota prima del peccato originale, altrimenti i progenitori non avrebbero potuto comprendere neppure il comando di Dio:

«Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete».

[Gn 3,3]

E si potrebbe intendere: morirete anche voi come gli altri animali e le piante. Diversamente l’espressione «morirete» sarebbe stata per loro inafferrabile. E sarebbe anche incomprensibile il comando di mangiare per nutrirsi dato ai progenitori e la stessa  legge del nutrirsi valida per tutti gli animali, che comporta la morte dell’essere di cui ci si ciba:

«Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne».

[Gn 2,29-30]

Allora si comprende meglio anche la ragione (si tratta di un argomento di convenienza) per cui l’uomo ebbe i doni preternaturali. Era conveniente che una creatura (l’uomo e solo l’uomo) dotata di un corpo (per natura sua mortale) e dotata insieme di un’anima razionale (per natura sua immortale) fosse potenziata da doni preternaturali che garantivano all’uomo (e solo all’uomo) nella sua integrità, quindi con il suo corpo, l’immortalità. Beneficio che solo all’uomo, per questa sua singolare natura duale poteva essere offerto convenientemente.

«Dio a cui ogni natura è sottomessa, nel predisporre l’essere umano supplì a questo limite della natura [del corpo] e con il dono della giustizia originale diede al corpo una sorta di incorruttibilità».[44]

[I-II, q. 85, a. 6co]

E così:

«L’uomo era incorruttibile e immortale non perché il suo corpo fosse di per sé dotato della incorruttibilità, ma perché era stata immessa nell’anima la capacità di preservarlo dalla corruzione».[45]

[I, q. 102, a. 2co]

 Gli altri viventi, infatti, non essendo dotati di una forma (anima) “razionale”, quindi incorruttibile ovvero immortale, non ne avevano l’esigenza; mentre gli angeli, essendo per loro natura incorporei e quindi incorruttibili, possedevano già per natura l’immortalità e non necessitavano di riceverla come un dono oltre la natura (preter-naturale).

Dalla morte l’uomo, e solo l’uomo, poté essere preservato, prima del peccato originale, in forza dei doni preternaturali che perse con il peccato. E questo non comporta la conseguenza ridicola che gli uomini sarebbero diventati così numerosi da non trovare più spazio sul pianeta Terra (o nel cosmo), in quanto si può ragionevolmente ipotizzare — e Tommaso stesso lo fa — una “transizione” dallo stato preternaturale ad una condizione di vita eterna “impeccabile” gloriosa come quella attuale dei risorti in Cristo con il loro corpo.[46] Un corpo che non occupa necessariamente uno spazio, così come non lo occupa neppure il corpo reale di Cristo nell’Eucaristia. E anche di questo Tommaso ha trattato nella sede appropriata.[47]

 

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La perdita o diminuzione di alcuni beni di natura

Tommaso spiega anche come:[48]

—i principi costitutivi (metafisici) della natura umana rimangono “intatti”, diversamente il soggetto uomo verrebbe meno e scomparirebbe totalmente o si tramuterebbe in qualcosa che non è più uomo;

—mentre l’inclinazione alla virtù è “ridotta” in quanto la dipendenza delle potenze fisiche e psichiche dall’anima razionale è compromessa e l’anima stessa non è più elevata dalla grazia;

—la giustizia originale è “interamente perduta”; questo comporta quattro ferite alla natura umana che sono:

«l’infermità, l’ignoranza, la malizia e la concupiscenza».[49]

[I-II, q. 85, a. 3]

La concupiscenza, quindi viene ad essere collocata da Tommaso al livello delle conseguenze del peccato originale, piuttosto che tra le cause.

La natura umana dunque è compromessa e non può reintegrarsi da sola, ma non è interamente corrotta. Si tratta di una posizione equilibrata che evita gli estremi del pelagianesimo da una parte e di quella che sarà poi la posizione di Lutero dall’altra.

 

F - La comunicazione del peccato originale: la ricerca di un “modello”

Incominciamo con l’osservare che il peccato di Adamo è detto “originale” in quanto si trasmette ad altri

«per originem».[50]

[I-II, q. 81, a. 1pr]

Per quanto riguarda la “comunicazione “del peccato originale Tommaso afferma che:

«Primum peccatum primi hominis originaliter transit in posteros».

[I-II, q. 81, a. 1co]

È importante notare come egli utilizzi con grande attenzione i termini del linguaggio: il termine originaliter dice solamente che il peccato originale, condiviso per natura da tutti gli uomini, ha avuto la sua origine in Adamo, e non si impegna ancora con un “modello” che cerchi di descrivere il modo in cui può fisicamente/metafisicamente attuarsi tale “comunicazione”.

La ricerca di un modello teologico-metafisico rappresenta, dal punto di vista logico, il passo successivo dell’indagine. E Tommaso propone quello della “generazione” che si presentava come il più semplice, il più coerente con l’esegesi di allora e a quel tempo non poneva problemi rispetto alle concezioni scientifiche.

La proposta di Tommaso è quindi:

«La natura umana si comunica in virtù del seme dal genitore alla prole, insieme alla infezione della natura. Da ciò deriva che colui che nasce è compartecipe della colpa del progenitore, poiché da lui scaturisce la naturamediante un processo di generazione».[51]

[I-II, q. 81, a. 1, ad 2]

 

***

 

Corollari

—L’affronto del problema, a questo punto, è già interdisciplinare in quanto Tommaso fa intervenire anche le conoscenze scientifiche del suo tempo per cercare di descrivere il “processo”: sotto questo aspetto Tommaso può e deve essere rivisto in quanto le conoscenze scientifiche oggi sono diverse da quelle di allora, che prevedevano la parte attiva della generazione nel solo seme maschile. Rimane valida, però, l’impostazione metafisica e teologica alla quale ci si può utilmente rifare anche oggi.

—Il modello della “generazione” appare troppo restrittivo di fronte al dato scientifico, in quanto troppo vincolato al monogenismo, sia in ordine alla comparsa della vita umana sulla Terra, sia nell’ipotesi, forse per ora ancora remota, di una possibile vita extraterrestre corporea intelligente (metafisicamente e teologicamente quindi “umana”). Se Tommaso non ha avuto più volte difficoltà ad avventurarsi in congetture logicamente possibili anche se concretamente molto lontane dall’esperienza,[52] non pare illegittimo anche per noi fare altrettanto…

Se la “comunicazione” del peccato originale è legata alla materia e l’anima umana — creata incontaminata direttamente da Dio per ogni singolo uomo — lo contrae in quanto forma che si unisce alla materia organizzandola in un corpo individuale, allora, si può anche ipotizzare che sia tutta la materia, come tale, ad essere indebolita nella sua capacità di ricevere la forma, e non solamente la materia del corpo del genitore. E si potrebbe addirittura ipotizzare che la materia venga indebolita non solo nella sua capacità di ricevere la forma razionale (anima umana), ma anche ogni altra forma non razionale. Questo comporterebbe una ricaduta cosmologica non solo sul corpo umano ma anche su tutta la materia del cosmo che subirebbe il disordine che osserviamo: ribellione della natura contro l’uomo, violenza acuita tra gli animali, sofferenze e patologie, possibili squilibri anche nella materia non vivente che si rivolgono contro l’uomo, ecc. Allora anche gli uomini non discendenti direttamente da Adamo, compresi gli eventuali esseri razionali corporei extraterrestri (!), e i cloni umani (!) se venissero realizzati, contrarrebbero il peccato originale allo stesso modo degli altri uomini.

In questo modo il detto paolino

«Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo»

[Rm 8,22-23]

acquisterebbe un senso ancora più pieno e chiaro.

 

Conclusioni

Come si è visto abbiamo cercato di esaminare la trattazione del problema del peccato originale condotto da san Tommaso d’Aquino nelle sue opere, con una particolare attenzione rivolta alle problematiche interdisciplinari che emergono oggi dalla ricerca scientifica. E ci sembra di poter concludere che l’impianto metodologico e metafisico dell’Aquinate vada ben oltre i limiti del suo tempo. La definizione di peccato originale come “carenza della giustizia originale”, l’analogia che consente di trattare l’intero genere umano come un solo uomo, secondo la formula di Porfirio, non si limita alla descrizione di una solidarietà estrinseca e sociologica, ma si fonda su una base metafisica che offre una spiegazione oggettiva di tale solidarietà.

Ciò che ai nostri giorni parrebbe essere insufficiente è invece il modello con cui l’Aquiante intende risolvere il problema della propagazione del peccato originale (come colpa e come pena) dai progenitori a tutti gli altri esseri umani. E questo per due ragioni:

—l’una interna allo stesso modello della generazione, in quanto, esso risulta inevitabilmente dipendente dalla biologia aristotelica che ritiene che il solo seme maschile sia il principio attivo della generazione, oggi totalmente superato dalle cognizioni delle attuali scienze biologiche;

—l’altra esterna al modello della generazione, in quanto esso risulta troppo legato al monogenismo, contrariamente ai dati che sembrano emergere dalle scienze, e anche all’eventualità di forme di vita corporea intelligente di provenienza extraterrestre, o addirittura indotta artificialmente.

In ogni caso i principi metafisici dell’Aquiante, che vengono impiegati anche nell’affronto del problema del peccato originale, non dipendono dal modello della generazione e possono essere utilmente impiegati anche nella prospettiva di un altro modello alternativo a quello della generazione.

Qui abbiamo azzardato la proposta secondo cui la materia come tale, e non solamente quella presente nel corpo umano, possa essere veicolo di propagazione del peccato originale che viene contratto dall’anima umana creata direttamente da Dio, nel momento in cui essa attua la materia dando vita ad un nuovo essere umano. Secondo questa prospettiva la materia risulterebbe indebolita (conseguenza cosmologica del peccato originale) nei confronti della recezione di ogni tipo di forma (razionale o irrazionale). La forma irrazionale verrebbe a ricevere solo gli effetti di una ricaduta cosmologia incolpevole, mentre solo l’anima razionale ne riceverebbe anche i caratteri della colpa, proprio in forza della sua razionalità.

Tutto questo naturalmente richiederà verifiche e approfondimenti ulteriori che devono essere necessariamente rinviati a future ricerche.

 

[1] «Se in diverse circostanze è stato necessario intervenire su questo tema, ribadendo anche il valore delle intuizioni del Dottore Angelico e insistendo per l’acquisizione del suo pensiero, ciò è dipeso dal fatto che le direttive del Magistero non sono state sempre osservate con la desiderabile disponibilità. In molte scuole cattoliche, negli anni che seguirono il Concilio Vaticano II, si è potuto osservare, in materia, un certo decadimento dovuto ad una minore stima, non solo della filosofia scolastica, ma più in generale dello stesso studio della filosofia. Con meraviglia e dispiacere devo costatare che non pochi teologi condividono questo disinteresse per lo studio della filosofia» (Fides et ratio, n. 61).

[2] Per uno studio introduttivo a ciò che intendo su alcuni possibili sviluppi del problema dei fondamenti delle scienze in relazione allo sviluppo di un’ontologia formalizzata che sia in grado di confrontarsi con l’impianto logico-metafisico aristotelico-tomista rinvio al mio breve saggio Le scienze e la pienezza della razionalità, Cantagalli, Siena 2003. Per un approfondimento si possono vedere gli studi svolti in collaborazione presentati nei volumi: G. Basti C.A. Testi (curatori), Analogia e autoreferenza, Marietti 1820, Genova-Milano 2004; A. Strumia (curatore), I fondamenti logici e ontologici delle scienze. Analogia e causalità, Cantagalli, Siena 2006; idem. Il problema dei fondamenti da Aristotele a Tommaso d’Aquino all’ontologia formale, Cantagalli, Siena 2007.

[3] Una attenta e dettagliata analisi della trattazione sul peccato originale condotta da Tommaso a partire dagli scritti del corpus paulinum si può trovare nell’articolo citato di W. Dabrowski.

[4] L’esistenza del peccato originale, ovvero dell’an sit, il teologo cattolico la accetta per fede come un dato rivelato nella Scrittura, secondo la Tradizione e l’insegnamento del Magistero e quindi come “assioma” (dogma), e la ritiene inoltre plausibile in quanto non contraddittoria e sorretta anche da argomenti razionali di convenienza (cfr., CG, L. 4, cc. 50-52). L’esistenza del peccato originale va dimostrata, se necessario, per ragioni apologetiche di fronte a coloro che, non cattolici (come i pelagiani), la neghino opponendo una diversa lettura dei testi scritturistici. A proposito dell’an sit del peccato originale in Tommaso si può vedere l’articolo citato di O. Magrath al §I.

[5]«Carentia iustitiae originalis». A proposito di questa definizione si può vedere utilmente P. Deletter, “Original Sin, Privation of Original Justice”, The Thomist, 17 (1954), pp. 469-509.

[6] «Originale enim peccatum est carentia originalis iustitiae ut Anselmus dicit, in libro De concepto virginali» (I-II, q. 82, a. 1, arg. 1). In questo Tommaso segue il suo maestro sant’Alberto Magno: «Albert the Great» (1280) […] belongs to the Anselmian current of doctrine and defines orignal sin as privation of orginal justice» (Deletter, “Original Sin …”, cit., p. 479).

[7] «The so-called Augustinian theory defines original sin as a concupiscence» (ivi, p. 475).

[8] «L’elaborazione agostiniana della dottrina del peccato originale diviene uno dei punti saldi della teologia cattolica e, nella sua sostanza, la riprende e la fa sua san Tommaso, il quale però la inquadra in una nuova prospettiva che gli fa riconoscere tutta la dignità della creatura, l’efficacia delle cause seconde, e la relativa autonomia dell’uomo che diviene interamente responsabile delle proprie decisioni. Grazie a tale prospettiva filosofico-teologica, l’Angelico può radicare meglio nell’uomo stesso e non in qualche potenza esteriore (il demonio) la causa del peccato originale» (W. Dabrowski, “La dottrina…”, cit., p. 561).

[9] «Peccatum originale materialiter quidem est concupiscentia; formaliter vero, defectus originalis iustitiae». Cfr. anche De malo, q. 4, a. 2co («carentia originalis iustitiae est quasi formale in peccato originali, concupiscentia autem est quasi materiale». Si noti come i termini “materia” e “forma” vengano impiegati analogicamente dall’Aquinate, mediante introduzione di un “quasi”).

[10] «Peccatum originale habet privationem originalis iustitiae» (I-II, q. 82, a. 1, ad 1um).

[11] «Defectus autem originalis iustitiae est peccatum originale» (I-II, q. 81, a. 5, ad 2um).

[12]«Peccatum non solum significat ipsam privationem boni, quae est inordinatio; sed significat actum sub tali privatione» (I-II, q. 75, a. 1, ad 1um).

[13] «Bisogna qui rilevare che l’Angelico non usa né il termine peccato originale originante né peccato originale originato,  ma per indicare il primo usa i termini il primo peccato, il peccato dei primi genitori, il peccato di Adamo, mentre per il secondo: il peccato originale, anche se talvolta non è de tutto conseguente» (W. Dabrowski, “La dottrina…”, cit., p. 564).

[14] «Iustitiae proprium est inter alias virtutes ut ordinet hominem in his quae sunt ad alterum» (II-II, q. 57, a. 1co).

[15] «Anima rationalis, quae est subiectum culpae» (I-II, q. 81, a.1, arg. 2). Non c’è di per sé giustizia nell’interazione tra enti non razionali se non in quanto vengono visti da un soggetto razionale ad essi esterno, cioè in rapporto al loro Creatore o a loro legittimo proprietario.

[16] «Infectio originalis peccati nullo modo causatur a Deo, sed ex solo peccato primi parentis» (I-II, q. 83, a. 1, ad 4um). Al più possiamo essere noi a non comprendere talvolta, per la nostra limitatezza, a pieno le ragioni della giustizia divina.

[17] «Secundum fidem Catholicam est tenendum quod primum peccatum primi hominis originaliter transit in posteros» (I-II, q. 81, a. 1co).

[18] «Dictum est enim supra quod peccatum originale a primo parente traducitur inquantum ipse movet ad generationem natorum, unde dictum est quod, si materialiter tantum aliquis ex carne humana generaretur, originale peccatum non contraheret. Manifestum est autem secundum doctrinam philosophorum, quod principium activum in generatione est a patre, materiam autem mater ministrat. Unde peccatum originale non contrahitur a matre, sed a patre. Et secundum hoc, si, Adam non peccante, Eva peccasset, filii originale peccatum non contraherent. E converso autem esset, si Adam peccasset, et Eva non peccasset» (I-II, q. 81, a. 5). Cfr., anche II Sent., d. 31, q. 1, a. 2, ad 4um.

[19] «Primum peccatum corrumpit naturam humanam corruptione ad naturam pertinente, alia vero peccata corrumpunt eam corruptione pertinente ad solam personam».

[20] «Secundum aequitatem ratio hominis subiiciebatur Deo, inferiores vires rationi, et corpus animae» (In questa citazione come in alcune di quelle successive ho introdotto una paragrafazione di comodo per evidenziare meglio alcune parti del testo). Cfr. anche Comp. theol., L. 1, c. 187 («Hic autem hominis tam ordinatus status, originalis iustitia nominatur, per quam et ipse suo superiori subditus erat, et ei omnia inferiora subiiciebantur»).

[21] «Dispositio alicuius naturae ex multis compositae».

[22] «Omnes homines qui nascuntur ex Adam, possunt considerari ut unus homo, inquantum conveniunt in natura, quam a primo parente accipiunt».

[23] Un problema questo molto attuale anche nella logica (e ontologia formale moderna) che distingue le cosiddette logiche “estensionali” per le quali i generi universali non sono che collezioni di oggetti (insiemi) e quelle “intensionali” per le quali tale identificazione non è ammissibile.

[24] «Aliquis homo singularis dupliciter potest considerari: uno modo secundum quod est quaedam persona singularis; alio modo secundum quod est pars alicuius collegii, et utroque modo ad eum potest aliquis actus pertinere. Pertinet enim ad eum in quantum est singularis persona, ille actus quem proprio arbitrio et per se ipsum facit; sed in quantum est pars collegii, potest ad eum pertinere actus aliquis quem per se ipsum non facit nec proprio arbitrio, sed qui fit a toto collegio vel a pluribus de collegio vel a principe collegii; sicut illud quod princeps civitatis facit, dicitur civitas facere […]. Huiusmodi enim collegium hominum reputatur quasi unus homo, ita quod diversi homines in diversis officiis constituti sunt quasi diversa membra unius corporis naturalis. Sic ergo tota multitudo hominum a primo parente humanam naturam accipientium, quasi unum collegium».

 

[25] «Vel potius sicut unum corpus unius hominis consideranda est; in qua quidem multitudo unusquisque homo, etiam ipse Adam, potest considerari vel quasi singularis persona, vel quasi aliquod membrum huius multitudinis, quae per naturalem originem derivatur ab uno».

[26]  «Ma rimane una questione particolarmente importante: se il venir meno della giustizia originale in coloro che derivano dal primo genitore possa avere ragione di colpa. Ora si presenta come qualcosa che ha ragione di colpa, come si è già detto in precedenza, un male che può dirsi colpevole in quanto il compierlo è in potere di colui al quale viene imputato come colpa. E nessuno viene incolpato di quello che non è in suo potere di fare o non fare. Non è in potere di chi nasce il nascere con la giustizia originale o senza di essa: per cui sembra che questa mancanza non possa avere ragione di colpa. La cosa si può risolvere semplicemente distinguendo tra persona e natura. Così come in una persona ci sono molte membra, così nell’unica natura umana ci sono molte persone, per cui in forza della partecipazione alla/della specie molti uomini sono da intendersi quasi come un solo uomo, come dice Porfirio. Riguardo al peccato del singolo uomo che commette peccati diversi con le diverse membra non si richiede la volontarietà di ciascuna di quelle che realizzano il peccato, ma la volontà della parte principale dell’uomo, cioè della sua parte intellettiva. La mano non può non colpire e il piede non camminare se la volontà lo comanda. In questo modo il venir meno della giustizia originale è un peccato di natura, in quanto ad essa deriva dal disordine della volontà del primo principio della natura umana, cioè del progenitore. E così è volontario come un abito relativo alla natura, per volontà del primo principio di tale natura, e passa in tutti quelli che da esso ricevono la natura umana, come fossero in certo modo sue membra. In questo senso viene detto peccato originale, perché giunge fino ai posteri dal progenitore per il suo essere origine». («Sed remanet quaestio magis urgens: utrum defectus originalis iustitiae in his qui ex primo parente prodierunt, rationem culpae possit habere. Hoc enim ad rationem culpae pertinere videtur, sicut supra dictum est, ut malum quod culpabile dicitur, sit in potestate eius cui imputatur in culpam. Nullus enim culpatur de eo quod non est in eo facere vel non facere. Non est autem in potestate eius qui nascitur, ut cum originali iustitia nascatur, vel sine ea: unde videtur quod talis defectus rationem culpae habere non possit. Sed haec quaestio de facili solvitur, si distinguatur inter personam et naturam. Sicut enim in una persona multa sunt membra, ita in una humana natura multae sunt personae, ut participatione speciei multi homines intelligantur quasi unus homo, ut Porphyrius dicit. Est autem hoc advertendum in peccato unius hominis, quod diversis membris diversa peccata exercentur, nec requiritur ad rationem culpae quod singula peccata sint voluntaria voluntate membrorum quibus exercentur, sed voluntate eius quod est in homine principale, scilicet intellectivae partis. Non enim potest manus non percutere aut pes non ambulare voluntate iubente. Per hunc igitur modum defectus originalis iustitiae est peccatum naturae, inquantum derivatur ex inordinata voluntate primi principii in natura humana, scilicet primi parentis, et sic est voluntarium habito respectu ad naturam, voluntate scilicet primi principii naturae, et sic transit in omnes qui ab ipso naturam humanam accipiunt, quasi in quaedam membra ipsius, et propter hoc dicitur originale peccatum, quia per originem a primo parente in posteros derivatur»).

[27] «Sunt autem et aliae similitudines inter Christum et Adam».

[28] Anche per Tommaso c’è un ricambio di materia, nel corpo umano, che avviene attraverso l’alimentazione e l’assimilazione. Tale materia viene integrata nella sostanza corporea della persona mediante una mutazione sostanziale e non rimane separata o ad essa eterogenea («multiplicatio corporis humani non fit nisi per hoc, quod alimentum convertitur in veritatem humani corporis» [I, q. 119. a.1co]).

[29] In linguaggio matematico le proprietà d’insieme di un tutto vengono dette “globali” a differenze di quelle della parte (infinitesima) che si dicono “locali”. Nella  meccanica quantistica si parla di “non separabilità” tra le parti di un sistema. Più in generale nella scienza di oggi si parla di “complessità” di un certo ente. Le visioni più filosofiche spesso parlano di proprietà “olistiche”, termine che però viene spesso impiegato anche nelle concezioni neognostiche, panteistiche, di matrice new age e quindi problematico e non immune da equivocità.

[30] «Diabolus […] non autem potest inducere necessitatem peccandi».

[31] «Ratione sic ligata, quidquid homo agat, non imputatur ei ad peccatum».

[32] «Primum peccatum eius fuit in hoc quod appetiit quoddam spirituale bonum supra suam mensuram. Quod pertinet ad superbiam. Unde manifestum est quod primum peccatum hominis fuit superbia».

[33] «Per virtutem propriae naturae».

[34] «Quantum ad scientiam boni et mali» (ibidem).

[35] «Ad propriam potestatem operandi […] ad beatitudinem consequendam» (ibidem).

[36] Cfr., ad es. I, qq. 63-64.

[37] «Homo in statu innocentiae poterat absque omni difficultate tentationi resistere».

[38] Per quanto riguarda il rapporto tra gli angeli e i corpi, cfr., ad es. I, qq. 51-52. E sull’impossibilità di un intervento diretto degli angeli nel comunicare una forma alla materia dei corpi cfr. I, q. 110, a. 3co («Omnis informatio materiae vel est a Deo immediate, vel ab aliquo agente corporali; non autem immediate ab Angelo»). Sull’azione di governo (esterna) degli angeli nei confronti delle creature corporee cfr., I, q. 110.

[39] Una ipotesi che rimane comunque suggestiva e anche semplificatrice, e che merita di essere indagata.

[40] «Sed contra est quod Apostolus dicit, Rom. V, per unum hominem peccatum in hunc mundum intravit, et per peccatum mors» (cfr., anche In I ad Cor., c. 15, lc. 3).

[41] Come osserva Deletter, il Concilio di Trento insisterà particolarmente su questo secondo aspetto: «A new way of vewing the problem comes mainly from the Tridentine insitence in opposition to Luther, on the “vera ratio peccati” found in the original sin which is the death of the soul, “mors anime”» (Deletter, “Original Sin …”, cit., p. 474).

[42] «Mors et est naturalis, propter conditionem materiae, et est poenalis, propter amissionem divini beneficii praeservantis a morte». Cfr. anche I-II, q. 85, a. 5co.

[43] «Si potrebbe dire tuttavia che tali difetti, sia quelli del corpo che dello spirito, non siano da considerarsi come pena, ma come naturali, in quanto necessaria conseguenza della materia. È necessario, infatti, che il corpo umano, essendo un composto di elementi contrastanti, sia corruttibile […]. Tuttavia, considerando le cose correttamente, molto probabilmente si potrebbe arrivare a ritenere, posto che vi sia una Provvidenza  divina che abbia disposto le cose in modo da portarle al livello di perfezione ad esse adeguato, che Dio abbia congiunto una natura superiore ad una inferiore per dominare quest’ultima, e che se vi fosse, per un limite della natura, un qualche impedimento a questo dominio, le sarebbe stato tolto grazie a un beneficio speciale di origine soprannaturale. Perciò, essendo l’anima razionale di una natura superiore a quella del corpo, sarebbe stata congiunta al corpo in una condizione tale che non vi potesse essere in esso qualcosa di contrastante con l’anima, grazie alla quale lo stesso corpo può vivere»  («Posset tamen aliquis dicere huiusmodi defectus, tam corporales quam spirituales, non esse poenales, sed naturales defectus ex necessitate materiae consequentes. Necesse est enim corpus humanum, cum sit ex contrariis compositum, corruptibile esse […]. Sed tamen si quis recte consideret, satis probabiliter poterit aestimare, divina providentia supposita, quae singulis perfectionibus congrua perfectibilia coaptavit, quod Deus superiorem naturam inferiori ad hoc coniunxit ut ei dominaretur; et si quod huius dominii impedimentum ex defectu naturae contingeret, eius speciali et supernaturali beneficio tolleretur; ut scilicet, cum anima rationalis sit altioris naturae quam corpus, tali conditione credatur corpori esse coniuncta quod in corpore aliquid esse non possit contrarium animae, per quam corpus vivit»).

[44] «Sed Deus, cui subiacet omnis natura, in ipsa institutione hominis supplevit defectum naturae, et dono iustitiae originalis dedit corpori incorruptibilitatem quandam». Cfr. anche I, q. 97, a. 1co.

[45] «Homo sic erat incorruptibilis et immortalis, non quia corpus eius dispositionem incorruptibilitatis haberet, sed quia inerat animae vis quaedam ad praeservandum corpus a corruptione».

[46] «Respondeo dicendum quod Paradisus fuit locus congruus habitationi humanae, quantum ad incorruptionem primi status. Incorruptio autem illa non erat hominis secundum naturam, sed ex supernaturali Dei dono. Ut ergo hoc gratiae Dei imputaretur, non humanae naturae, Deus hominem […] in Paradiso posuit, ut habitaret ibi toto tempore animalis vitae, postmodum, cum spiritualem vitam adeptus esset, transferendus in caelum» (I, q. 102, a. 4co).

[47] Cfr., III, q. 76, a. 1, ad 3um.

[48] Cfr., I-II, q. 85, a. 1co.

[49] «Infirmitas, ignorantia, malitia et concupiscentia».

[50] Cfr. anche De malo, q. 4, a. 2co («peccatum originale in isto homine vel in illo nihil est aliud quam id quod ad ipsum pervenit per originem ex peccato primi parentis»).

[51] «Per virtutem seminis traducitur humana natura a parente in prolem, et simul cum natura naturae infectio, ex hoc enim fit iste qui nascitur consors culpae primi parentis, quod naturam ab eo sortitur per quandam generativam motionem».

[52] Come ad esempio quella sulla possibilità dell’esistenza di più mondi (cfr., I, q. 47, a. 3) o quella più propriamente teologica sulla possibilità per il Verbo di incarnarsi in più uomini (cfr., III, q. 3, a. 7; q. 4, a. 5).